Sappiamo a stento cosa vogliamo ma abbiamo la certezza che sia sano, sia giusto, sia etico volere qualcosa. Giustifichiamo le nostre scelte, vaghe, con linguaggi di cui conosciamo appena le denotazioni. Sano, giusto, etico.
Non sappiamo dove stiamo correndo ma speriamo che sia la direzione giusta. Un antico proverbio cinese recita: è inutile avere i venti a favore se non si sa dove andare. Saggia constatazione. Eppure, quanto tempo ci resta- tra le varie cose da fare- per chiedersi dove andiamo così di fretta?
Così, senza sapere perché, fino a quando e a che scopo, riteniamo opportuno impiegare questo tempo che ci è stato dato nel modo migliore. E quale modo migliore per impiegare il tempo se non inseguendo l’ideale di noi stessi a dispetto di ogni regola, di ogni convenzione?
Ma in un mondo di anticonformisti, sono tutti reazionari. Se tutti andiamo controcorrente, andiamo tutti nella stessa direzione. Ormai è impensabile che qualcuno accetti di sentirsi prigioniero. Tutti liberi ad inseguire liberamente la propria interiorità. Sorgono filosofie new age importate da chissà dove, estrapolate da chissà quale contesto. Torna la spiritualità. Una spiritualità libera, si intende. Senza costrizioni. Almeno apparentemente. Ognuno è proiettato su se stesso: migliora te stesso e migliorerai il mondo che ti circonda.
Anche se, forse, la realtà è un’altra: le nostre azioni miglioreranno il mondo se saranno svolte in vista di questo scopo, non il contrario. Invece, la post-modernità, cerca se stessa ripiegandosi sull’individualità. Cosa ben diversa, poi, è ripiegarsi su se stessi e saper stare soli.
Quindi, individualismo come corrente di pensiero- nessuno mi può donare la felicità tranne me stesso- però aumento delle psicosi e quindi bisogno della psicoterapia. Paradossale. Perché ripiegarsi su se stessi significa cercare di distaccarsi da un gruppo- l’umanità- a cui, volenti o nolenti, apparteniamo.
L’originalità a tutti i costi di cui siamo alla ricerca la immaginiamo sempre posta in un punto appena diverso da quello in cui sono gli altri considerati come giudici inflessibili che ci ricordano di continuo chi siamo. Ma anche noi, per gli altri, siamo gli altri. Si può davvero fuggire da qualcosa che, in piccola parte, siamo già noi?
Non si riesce- non è facile- immaginare un mondo in cui le scelte personali non siano tutte legittime. Ma è facile capire che perdono di senso le scelte private se non hanno uno sfondo di riferimento universale, se non hanno una vita pubblica con la quale confrontarsi.
E veniamo al punto: Narciso, così innamorato dell’idea di se stesso, ha dimenticato il mondo al punto che poi non ha avuto più alcun valore trovarsi. Si è talmente ripiegato su se stesso da sparire, alla fine. Come si fosse ridotto ad un punto. Marcuse, ne L’uomo a una dimensione, descrive perfettamente questa condizione di uomini liberi con ai polsi le catene pesanti della libertà.
Abbiamo così timore dei padroni da imporci una schiavitù ancora più grande: quella dell’immensità della libertà. Il discorso è delicato e complesso. Ogni tipo di semplificazione o di giudizio che lo concluda in un articolo sarà ovviamente parziale e banale. E’ un discorso delicato per motivi lampanti: la schiavitù- che esiste tutt’oggi- è un fenomeno negativo sotto qualsiasi punto di vista. E su questo, nonostante qualsiasi riflessione si possa fare sul concetto di libertà, non c’è discussione.
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