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DODICI PICCOLE VIGNETTE. LE MATITE INFIAMMANO L’ISLAM?
Monta il caso internazionale delle dodici vignette sull’Islam, che è costato la proclamazione di una “fatwa” (condanna a morte) contro gli autori. Una parte del mondo musulmano esaspera lo scontro, mentre in Occidente si fatica a inquadrare l’evento.

Stefano Zoja

Una tradizione islamica plurisecolare stabilisce che non si può disegnare Dio, né alcuna figura sacra, come il profeta Maometto. Qualsiasi loro rappresentazione è sacrilega. E’ questo il primo e semplice motivo per cui le dodici vignette sull’Islam, pubblicate dal quotidiano conservatore danese Jyllands-Posten, hanno disgustato il mondo musulmano.

Si vede il volto di Maometto sormontato da un turbante che culmina in una bomba; alcuni kamikaze giunti alle soglie del Paradiso che vengono fermati da un omologo del nostro San Pietro perché purtroppo sono terminate le vergini, alludendo al premio che spetterebbe agli attentatori suicidi. Di questo tenore sono anche le altre dieci vignette. L’associazione fra i simboli della religione musulmana e il terrorismo si ripete spesso. Oppure vengono messi in ridicolo altri aspetti della cultura musulmana.

Le vignette del quotidiano danese sono state riprese subito dal Magazinet in Norvegia, poi dal conservatore France Soir in Francia, il cui direttore è stato licenziato nel giro di poche ore dall’editore franco-egiziano. La polemica è esplosa e diversi altri giornali europei, compresi alcuni italiani, hanno ripubblicato le vignette, con visibilità e sensibilità diverse, e hanno iniziato a interrogarsi. Partiti, governi, giornalisti e vignettisti hanno opinioni contrastanti, confuse, fino a creare a volte convergenze paradossali.

Il mondo musulmano ha reagito con durezza, in certi casi in modo furioso. Manifestazioni in Indonesia, Iran, Siria, a Gaza: ovunque. Di quelle care all’iconografia sensazionalista: estremisti col volto coperto e il mitra in mano. Vengono bruciate le bandiere danesi e norvegesi in piazza. Ha inizio una surreale guerra del burro: si boicottano prodotti danesi e norvegesi, il salmone diventa nemico della fede. I fanatici urlano, incitati dagli anatemi degli ayatollah che minacciano l’Occidente e sentenziano che è così che si alimenta il terrorismo. In Siria vengono date alle fiamme le ambasciate di Danimarca e Norvegia. A Beirut la folla attacca il quartiere cristiano.

Intanto trapela un particolare poco noto all’opinione pubblica: la prima pubblicazione di queste vignette da parte di Jyllands-Posten è avvenuta il 30 settembre scorso. Più di quattro mesi fa e nessuno si era accorto di nulla. Allora c’è chi, come Gad Lerner, sostiene che il furore delle masse è strumentalizzato, viene pilotato nei tempi e nei modi dalle alte sfere musulmane integraliste che trovano un magnifico combustibile in queste vignette per alimentare il fuoco dello scontro di civiltà a tutti i costi. Queste vignette hanno sicuramente offeso il sentimento religioso musulmano, ma c’è una regia che ne guida l’emersione e i percorsi.

Tant’è che, a vedere quali paesi musulmani si siano rivoltati nel modo più eclatante, si trovano quelli che hanno maggiori interessi nello scontro fra civiltà: Iran, Libano, Siria, non Marocco, Giordania, Tunisia. Fatti che lasciano qualche dubbio sull’assoluta spontaneità del sentimento religioso indignato che sembrerebbe guidare i manifestanti. Ma resta vero che queste vignette offendono la tradizione culturale islamica: con l’insistenza sul gemellaggio fra religione e terrorismo, con il loro tratto scorbutico al limite del razzismo, con la loro semplice esistenza. E’ probabile che il caso internazionale si stia gonfiando ad arte, ma qualsiasi musulmano messo di fronte a questi disegni si sentirebbe offeso.

Quanta parte si può comprendere della reazione musulmana, che pure sicuramente eccede in diversi aspetti? Dipende da quanto siamo disposti a interrogarci in Occidente. I termini in cui da molte parti si è impostata la questione sono quelli della libertà di stampa e di satira. Ci si è chiesti quanto sia giusto accettare la censura o l’autocensura. Siamo tornati, ancora una volta, a farci domande intorno ai confini della libertà di stampa, a quale sia la natura della satira. Siamo abituati a queste domande perché ce le poniamo intorno a questioni politiche, o in rapporto alla tv del dolore. In Italia sono quesiti che ricorrono fin troppo spesso.


  
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