Quante volte vi è capitato di raccogliere una graziosa coccinella per osservare i puntolini neri sul dorso rosso, sperando di essere baciati dalla fortuna? Forse non lo sapevate, ma potreste aver raccolto una semplice blatta. Che in realtà, semplice non è affatto: riuscire a cambiare il proprio aspetto (nel corso di milioni di anni) in modo da sfuggire ai predatori non è un’impresa da poco, e come i più efferati parassiti, spesso i mimi rappresentano i gradini più alti dell’evoluzione.
Nel caso della coccinella appena citata, la Callicaria superba ha dalla sua un’arma da non sottovalutare: emette umori maleodoranti che allontanano i predatori. Lo scarafaggio Blatta coccinella ha trovato questa difesa interessante ma, non potendo “maleodorare” lui stesso, ha pensato di rassomigliare il più possibile alla sua amica Callicaria.
In natura, di casi del genere ne esistono milioni e riguardano specialmente il mondo degli Insetti e degli Aracnidi.
Secondo la tecnica del mimetismo aposematico (dal greco mimetizo "io imito"), un animale poco protetto (il mimo) tende ad assomigliare ad un animale protetto (il modello) ingannando il predatore: in pratica si tratta di lanciare falsi messaggi a fini difensivi.
Essere protetti significa essere tossici, velenosi, repellenti o puzzolenti.
Mimo e modello, visto che basano la loro tecnica di difesa sul far notare ai predatori la loro pericolosità o repellenza, devono essere ben visibili: per questo assumono (o meglio, il modello assume e il mimo copia) delle colorazioni aposematiche, combinazioni di colori sgargianti in contrasto fra loro, solitamente nero, rosso, giallo e bianco. I Dendrobatidi, delle rane velenosissime che vivono in Sud America (e che gli Indios usano per produrre il Curaro), sono fra le più belle proprio per i loro vivaci colori. E che dire delle Moffette, a strisce bianche e nere?
Visto che “il mondo è bello perché è vario”, in natura sono stati sviluppati tre differenti tipi di mimetismo aposematico. Il più classico, il batesiano, prende il nome dello studioso Henry Walter Bates. Si basa sulla presenza di una specie repellente o pericolosa (il modello) ed una mimo gustosa che non vuole apparire tale.
Il mimetismo batesiano funziona perché un predatore inesperto, dopo aver fatto esperienza su un “modello”, rimarrà talmente colpito dal dolore o dal disgusto da non volere più mangiare nulla che assomigli a questa preda ingannatoria. Quindi, un Sirfide (un Dittero, la famiglia delle mosche) che imita una Vespa, pur essendo buonissimo non viene mangiato.
Ovviamente, il numero dei mimi deve essere minore del numero dei modelli, altrimenti il meccanismo non riesce perché il predatore mangia più spesso “vespe” gustose che non dolorose.
Il cetriolo di mare (Bohadschia graeffei), del tutto innocuo e indifeso, e per questo solitamente adagiato sul fondo con uno smorto colore fra il nero ed il marrone, imita a volte l’arancio, bianco e nero di un nudibranco tossico, diventando bello e protetto allo stesso tempo.
Il mimetismo mulleriano (da Fritz Muller) si basa invece su due modelli che sono contemporaneamente mimi uno dell’altro: si tratta di due specie con le stesse sgargianti colorazioni ed entrambe repellenti, come la Farfalla monarca (Danaus plexippus) e quella vicerè (Limenitis archippus). La monarca diventa tossica perché le sue larve si nutrono di Asclepiadacee, piante ricche di alcaloidi velenosi. La Farfalla viceré invece si nutre di Pioppi e Salici, ed è repellente per altri motivi. Con questo sistema viene raddoppiato il numero di “esperienze negative” nei predatori, che quindi imparano più in fretta a stare alla larga da certi soggetti.
|
|