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MEDICO CURA TE STESSO
UNA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA

Riportiamo sulle “nostre pagine” un articolo proposto dall’ultimo numero di Natura & Benessere. Questo articolo tratta un tema molto caro alla FN Editrice, che si è schierata a favore di questo progetto nella convinzione di operare un servizio di cultura e umanità nei confronti di uomini votati con dedizione e professionale assiduità alla cura del prossimo, ma non meno attenti e sensibili ai loro stessi problemi del vivere e del comunicare.

Beniamino Palmieri

“Medico-cura-te-stesso” è una iniziativa trasversale nata presso l’Università degli Studi di Modena destinata a censire, conoscere, prevenire e curare – con i mezzi più idonei e nelle istituzioni nazionali ed internazionali maggiormente accreditate e qualificate – le principali problematiche di salute dei medici.
Promotore di questo originale progetto è il professor Beniamino Palmieri che in queste pagine ci presenta i punti salienti che caratterizzano la sua rivoluzionaria proposta.



Il medico solitamente arriva a cinquant’anni, temprato dalle proprie esperienze avendo ottemperato al meglio, per sé e per gli altri, al giuramento di Ippocrate, ma… proprio in questa fascia di età si accorge di non esser né invulnerabile, né immortale: è una consapevolezza sottile ed inesorabile che lo compenetra pian piano, fino a suscitare talvolta fantasmi di angosce e spettri di malattie.
Accade spesso che il medico si sorprenda all’improvviso a soppesare tra le mani scatole di campioni medicinali con la tentazione di provarne qualcuno, a causa di certi sintomi…

Viene da chiedersi, a questo punto: ma, se il medico per disgrazia si ammala, chi lo cura? E come? Si è fornito di una assicurazione per le malattie, per sé e per i familiari? Si è posto il problema di prevenire alcune delle malattie più comuni, onde garantirsi quella salubrità e longevità che impreziosisce negli anni il suo carisma terapeutico?
Quando volgo la mia attenzione a quegli studenti quasi-medici e li vedo preoccupati di certi sintomi (un dolore toracico: “non sarà mica un tumore?”; mi sento stanco e affaticato: “potrebbe trattarsi leucemia?”) nel momento che si affacciano al dolore, alle malattie del prossimo (la cosiddetta merce del contratto di fornitura), il mio cuore già vecchio ha un moto di tenerezza e di simpatia: il quasi medico fantastica, introiettando i sintomi che scopre nel suo paziente, e per un attimo li reintepreta, introiettando anche il dramma di una diagnosi ancora non conclusa.

È questa una fase formativa della preparazione accademica, da cui il giovane uscirà vaccinato. Fino a 50 anni non si farà più molto influenzare, ma dinnanzi a qualche acciacco cronico, come un vecchio mal di schiena che tarda a passare, qualche sottile tarlo di malattia maligna si insinua ancora nella sua mente… fino a prova contraria…
Un altro aspetto che mi colpisce sempre molto è la scelta della specialità postlaurea, mossa spesso da concreti problemi vissuti dal neo-medico, sulla propria salute o su quella dei familiari: è il caso di molti oncologi, o specialisti di varie branche, come se l’end point della professione finale fosse un modo di scendere in prima linea; il votarsi ad una causa vissuta emotivamente e interpretata da protagonista. In altri casi, molto più banalmente la scelta è dettata da ideali economici o di riscatto sociale o, ancora, da fantasie di ispirazione subconscia.

Comunque i primi contatti con la malattia segnano indelebilmente la personalità del futuro medico che nei primi 25 anni di carriera vive spesso romanticamente la propria esperienza.
Anche sulla fase terapeutica vale la pena soffermarsi per alcune riflessioni: il medico solitamente prescrive ciò che il prontuario offre, a dispetto di campagne promozionali non regolamentate che accedono direttamente al grande pubblico con forti inneschi autoprescrittivi.

La gente è bombardata da sistematici messaggi di trattamenti alternativi su cui si sono scatenate in passato tempeste di denegazione e critiche di non-scientificità.
Ma il medico, o di riflesso a causa delle pressioni che riceve dai propri pazienti o primariamente perché ha colto i limiti della medicina istituzionale, viene intensamente colto dal fascino di questi trattamenti e spesso decide, nella fase di maturità professionale, di approfondire qualcuna di queste discipline, come se il rassicurante e onorevole ruolo sociale della medicina accademica con il tempo gli si affievolisse dentro, per esser ricondotto ad una forma più olistica di interazione con la malattia o piuttosto con il malato.
I medici continuano a cercare spiegazioni e verità nel corso della loro vita, ed anche soluzioni di cura sempre più appropriate ed efficaci, specialmente dopo avere chiuso un primo bilancio clinico della medicina e delle istituzioni in cui essa è praticata.
Mi è bastato sbirciare dalla serratura di scuole di formazione postlaurea di omeopatia, medicina cinese ed altre discipline integrative per constatare come molti medici con i capelli grigi o dottoresse brizzolate affollino questi corsi di fine settimana con lo zelo e l’assiduità dei neofiti: nessun medico sbarbatello che non avesse almeno 15 anni di laurea era presente alle riunioni.


  
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