Le storie, i racconti hanno sempre avuto un fascino incredibile per l’umanità.
Dai tempi di Ulisse, quando egli raccontò ai Feaci le sue avventure e riuscì, anche grazie alla sua capacità affabulativa, a far innamorare Nausicaa.Fino ai libri, ai film, alle telenovelas di oggi. Senza sottovalutare i vari gossip che coinvolgono gente di spettacolo o i più quotidiani pettegolezzi che ci racconta in un orecchio la “portinaia” curiosa sull’anonima signorina del quinto piano.
Ma, insomma, che cos’ha di tanto fascinoso il racconto?
In confronto a un discorso logico, razionale, argomentativo che abbia come scopo la trasmissione del sapere, il racconto, oltre a offrire informazioni, in più ha la capacità di essere vissuto in modo empatico e partecipativo. Cioè, in genere, fa emergere sentimenti, passioni, intime riflessioni, nelle quali possiamo e, ci fa piacere, riconoscerci. Se è ben fatto, inoltre, il racconto procura un piacere estetico e, comunque, rappresenta sempre un modello comportamentale ed esistenziale molto importante.
I racconti ci spiegano come funziona la vita?
Sta qui, forse, il segreto nascosto del suo fascino. L’illusione inconscia che in qualche modo il racconto ci possa spiegare come funziona la vita. Che dalla trama delle vicende narrate, qualunque esse siano, anche le più banali, si riesca a percepire il senso più autentico, più profondo della nostra esistenza.
Un bisogno che cresce e si incrementa costantemente. E che da un lato rende alcuni, soprattutto coloro che possono vantare più solide basi culturali, sempre più esigenti e raffinati e alla costante ricerca di qualità, mentre dall’altro spinge i meno attrezzati culturalmente a non accontentarsi più di storie preconfezionate, costringendoli, quasi loro malgrado, a diventare voyeur, spettatori curiosi della vita degli altri nel momento stesso in cui si compie, rinunciando a qualsiasi senso di discrezione e riservatezza e scoprendo tutta la carica di morbosità che sta sotto.
Nei reality c’è la vita vera?
Di qui, ad esempio, l’attenzione crescente verso i reality con l’illusione che essi contengano una dose sempre maggiore di “vita”, che siano più autentici, più veri. Che soddisfino di più quel bisogno insaziabile di capire la vita. Sappiamo tutti, invece, che tali spettacoli autentici non lo sono. Che il solo fatto di proporre un’inquadratura, piuttosto che un’altra, è già una scelta narrativa, interpretativa.
I mezzi di comunicazione, e in particolare la televisione, non sono neutrali.
È vero, spesso ci illudiamo che i mezzi di comunicazione, televisione in testa, ci permettano di partecipare a un’esperienza comune, di condividerla, come nel meccanismo che sta all’origine della formazione di tutte le culture umane. Ma non è così. Siamo solo spettatori di un evento, fruitori passivi di esperienze altrui, succubi consumatori di immagini. I media, insomma, fanno esattamente il contrario di ciò che ci promettono: ci allontanano dalla vita. È vero, essi apparentemente ci consentono di rendere ciò che è lontano vicino, ciò che è assente presente, disponibile ciò che non lo è. Ma, così facendo, ci negano le esperienze dirette. Non ci mettono in contatto con i fatti e la vita vera ma con le interpretazioni che dei fatti e della vita fanno altri.
Non è vero che siamo più liberi. Al contrario, siamo maggiormente condizionati.
Vivere un’esperienza indiretta significa lasciare che altri giudichino per conto nostro. Quindi, significa caricarci di pregiudizi, che a lungo andare condizioneranno anche la nostra vita di tutti i giorni.
Perciò, continuiamo a cibarci senza problemi di racconti e di storie, possibilmente privilegiando la lettura, dove il nostro ruolo resta più attivo, più partecipe e meno condizionato, apprezziamo il carico di valori, di esemplarità, di suggestione e di prescrizione che essi contengono, estraiamone i significati più utili alla nostra vita. Ma poi, comunque sia, la vita viviamola in presa diretta, con i rischi, i dolori e i piaceri che essa comporta, cercando di assaporarla giorno per giorno. I surrogati della vita, qualunque essi siano, sono sempre decisamente meno gustosi.
Dall'unione dell'anima e del corpo nasce il benessere
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