I parametri utilizzati per condurre una seria ricerca in Omeopatia devono necessariamente tenere conto del diverso approccio al malato e alla malattia che vincola in modo originale il metodo omeopatico: è dunque improprio utilizzare gli stessi criteri di efficacia utilizzati in allopatia.
La Medicina Omeopatica considera complessivamente l’individualità del malato comprendendo sia l’oggettività apprezzata nei dati clinici che, soprattutto, la soggettività riferita al singolo individuo. Un altro valore aggiunto da esaminarsi nei protocolli di studio omeopatici è da ricercare nella valutazione degli effetti collaterali ed avversi, oltre al non meno importante parametro che riguarda i costi e sul quale nessuno può negare la differenza a favore dell’Omeopatia.
I ricercatori svizzeri non hanno minimamente tenuto conto di tutto questo.
Per quanto riguarda, poi, il valore del confronto con il cosiddetto farmaco inerte o placebo, in letteratura medica è in corso un ampio dibattito sulle reali capacità di questa metodologia di ricerca applicata all’Omeopatia in quanto gli effetti placebo non sono legati ad una reale azione del farmaco inerte trattandosi di risposte aspecifiche che indicano un miglioramento dello stato generale, là dove il rapporto medico paziente può in qualche modo amplificare la risposta terapeutica in senso positivo.
Certamente la ricerca clinica in Omeopatia è ancora carente. Ciò è giustificato dalla esiguità del mercato farmaceutico omeopatico che rappresenta appena la centesima parte di quello allopatico, dalle inadeguate risorse economiche degli sponsor farmaceutici, dalla scarsa penetrazione nelle strutture ospedaliere, dalla mancanza di interesse a istituire percorsi didattici formativi da parte delle università ma soprattutto dall’assenza di una legge che stabilisca i criteri di formazione per i medici e che stabilisca le norme di fabbricazione dei medicinali omeopatici, recependo le Direttive già sancite dal Parlamento europeo.
Eppure potrebbe finalmente giungere qualche buona notizia. Infatti, esiste la possibilità che alla fine di questa storia possa intravedersi un risultato a sorpresa.
È curioso, o piuttosto emblematico, riscontrare inoltre che, sullo stesso numero del The Lancet, in cui è pubblicato il lavoro svizzero che condanna l’Omeopatia ad un misero effetto placebo sia riportato un editoriale dal tono molto polemico titolato “The end of Homeopathy” in cui l’autore si mostra molto preoccupato in merito ad un rapporto preliminare e ben documentato sull’Omeopatia che l’OMS pubblicherà a breve e di cui evidentemente già si conoscono le conclusioni che sembrano senza dubbio in favore di una sua efficacia clinica reale.
Questa contemporanea pubblicazione di due articoli in tema su uno stesso numero di The Lancet è solo una sfortunata coincidenza? Il dubbio nasce inevitabile…
A questo punto il vero errore di metodo o bias risiede proprio nel pregiudizio che traspare dagli autori svizzeri nel giudicare l’Omeopatia “acqua fresca”. In conclusione, la debolezza dello studio svizzero consiste in gravi omissioni da parte degli autori, come la mancata valutazione statistica dei precedenti lavori di ricerca omeopatica e la scelta parziale dei criteri qualitativi, oltre ad un errore di metodo nell’effettuare la metanalisi di solito eseguita su gruppi più numerosi ed omogenei per la scelta delle patologie e del medicinale impiegato.
La presa di posizione che scaturisce dall’analisi svizzera appare come una sentenza in un campo nel quale da anni si discute e che non ha ancora raggiunto conclusioni definitive. Ricordiamo, in ultimo, che il gruppo di ricercatori svizzeri non comprendeva nessun esperto in Omeopatia.
La cronaca di questo inganno ci riporta a considerazioni di ordine politico ed economico che non vorremmo tirare in ballo: si avverte un clima da caccia alle streghe cui non avremmo mai più voluto assistere.
Prendersi cura del proprio corpo è benessere
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