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- Nei due gruppi (omeopatia e allopatia) si riscontra una maggiore efficacia dei medicinali rispetto al placebo.
- Rispetto alla qualità metodologica, tra i 110 esaminati solo 21 lavori omeopatici e 9 allopatici sono stati considerati di alta qualità.
- In entrambi i gruppi, i lavori più piccoli e quelli di minore qualità riportavano effetti con maggiori benefici rispetto a quelli di maggiore qualità.
- Tra gli studi di maggiore qualità dell’Omeopatia (8 studi), quelli con numero maggiore di pazienti mostravano un indice statistico di efficacia (odd ratio) con tendenza al miglioramento, ma non statisticamente significativa.

L’interpretazione degli autori svizzeri riportata nell’abstract e ribadita nelle conclusioni spiega che nei 2 gruppi (omeopatia-allopatia) sono stati accertati errori metodologici o cattiva interpretazione dei dati (bias), ma mentre l’evidenza è forte per gli effetti dei medicamenti allopatici, questa risulta essere debole per i medicamenti omeopatici.
In conclusione questo risultato è compatibile con l’idea che gli effetti clinici dell’Omeopatia siano effetti placebo.

Dall’analisi emergono alcuni punti di rilievo.

Già in precedenti lavori pubblicati su molte riviste scientifiche, compreso The Lancet, i dati riportati sull’efficacia dei medicinali omeopatici avevano sempre evidenziato la prevalenza di risultati positivi, mentre le conclusioni dei ricercatori svizzeri sono in contraddizione con quelle cui erano giunti precedenti lavori che avevano escluso finora un effetto placebo quale unica spiegazione dell’Omeopatia.

È molto ambiguo aver accreditato maggiore impatto scientifico a lavori di qualità sebbene questi rappresentino un numero esiguo del totale (21 su 110 per l’Omeopatia). Ciò tende a screditare in blocco i dati della stragrande maggioranza degli studi positivi (80% degli omeopatici, 90% degli allopatici). In effetti, anche se gli studi fossero di minore qualità metodologica ciò non vuol dire che i risultati siano falsi, probabilmente significa solo che questi erano meno affidabili rispetto ad altri, secondo i criteri di qualità stabiliti a priori. Sul piano dell’utilizzo dei dati raccolti dagli autori, l’aspetto più allarmante è costituito dalla valutazione di solo 8 studi omeopatici e di 6 allopatici secondo un criterio di quantità (studi con maggior numero di casi tra quelli del gruppo di alta qualità); così, confrontando esclusivamente questi pochissimi studi, gli autori hanno sentenziato l’inefficacia dell’Omeopatia.

Stralciando ulteriormente le osservazioni ben articolate del professor Bellavite si possono trarre ulteriori brevi considerazioni, peraltro ribadite da molti anni dalla comunità scientifica degli omeopati.


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