Buenos Aires, anche a primavera, ha l’aria vitale e dimessa della capitale contraddittoria. Avenida Florida è la strada dello shopping per eccellenza, in cui si concentra un’umanità varia, difficile da trovare altrove così concentrata. Artisti di strada e turisti, manager in giacca e accattoni, giovani trendy e lustrascarpe. In prevalenza sono facce familiari, di stampo europeo, ma non mancano volti indios, neri e stranieri di ogni genere.
Quando provi a chiedere un’informazione per strada può capitare che qualcuno guardi oltre e acceleri il passo, oppure (più spesso), che si fermi e si sbracci per mezzora assicurandosi che tu abbia capito. Librerie modernissime e centri commerciali luccicanti sono intervallati da negozietti di abiti a prezzi di svendita o piccole librerie di volumi usati. Tutto sembra incoerente e forse sono questi contrasti a rafforzare il fascino dell’atmosfera: il senso della lotta, del movimento. Le cose, le persone sembrano più belle perché sono difficili, perché non sai cosa aspettarti. Questa, però, è una strada centrale. Se si va verso la periferia, quella lotta sembra essere persa. Allora la fascinazione lascia il posto alla malinconia, o alle domande razionali. Sui come e i perché di un popolo e di una nazione così contraddittorie.
Nei primi decenni del Novecento l’Argentina era un paese ricco e avanzato e lo doveva all’invenzione dei frigoriferi. Ancora prima era stato premiato dalla sua morfologia: un territorio vasto, pianeggiante e umido (eccetto la zona a ridosso delle Ande e la Patagonia) dove coltivare e soprattutto dedicarsi all’allevamento. Ma alla fine dell’Ottocento l’Argentina traboccante di ottima carne può cominciare a esportarla lontano: il neonato frigorifero la conserva per la tavole europee.
L’Argentina si arricchisce e diviene una meta ambita per un’immigrazione europea di alto profilo economico e culturale, in particolare francese. In realtà la ricchezza è distribuita in modo fortemente diseguale e vaste fasce della popolazione sono povere. E lo resteranno quando, nei decenni centrali del Novecento, saranno le dittature militari (da quella di Peròn e sua moglie Eva, fino a quella del generale Galtieri) a controllare il paese. Sono comunque anni di forte immigrazione dai paesi europei più svantaggiati dalla Seconda Guerra Mondiale: spagnoli e italiani giungono in massa e la cultura del paese si europeizza ancor più. Sono gli stessi anni in cui il medico argentino Che Guevara combatte in altre zone delle Americhe. L’Argentina deve passare ancora attraverso il fenomeno dei desaparecidos, cittadini contrari al governo che improvvisamente “scompaiono”; e attraverso la guerra con l’Inghilterra per le isole Malvinas (1982), che segna il fallimento definitivo delle dittature militari. Poi nel 2001 il crac di uno stato e una popolazione che non riuscivano a reggere oltre il debito pubblico più consistente della storia, la parità del peso col dollaro e la disoccupazione.
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