Il Misir Carsisi, tradotto dal turco ‘Mercato Egiziano’, è il cuore delle delizie di Istanbul, ci si potrebbe restare dentro per ore. Punto cruciale dell’antica Via della Seta, calpestata per secoli da navi e carovane dei più pedissequi mercanti, il bazar delle spezie era il ponte commerciale tra i due continenti, quello asiatico e quello europeo.
Oggi è ricco di prodotti raffinati. Una varietà infinita di spezie, caffè, tè, hennè, erbe, oli profumati, burro cacao, frutta secca, noci, pistacchi, miele, tabacco, castagne e quant’altro possa far gioire i sensi tutti in pochi secondi.
Turchia, Iran, Iraq, Siria e paesi adiacenti trovano sui banchi del Misir Carsisi una vetrina insostituibile, per la popolazione locale specialmente.
Fatta eccezione per qualche villaggio di pescatori sul Bosforo, la zona asiatica è quella più ricca e residenziale. Le case di legno portano appeso davanti l’occhio azzurro, simbolo scaramantico nazionale. Non lontano da qui, prima dell’instaurazione della Repubblica, nel palazzo estivo del sultano si consumavano storie tra harem e tappeti, concubine ed eunuchi,.
Contraddizioni e passaggi, ambizioni e scambi. Istanbul entra dentro come un non luogo, la città invisibile, tanto che risulta strano anche immaginare l’esistenza di una popolazione locale che nasce e muore qui da generazioni, giocando a dama e fumando narghilè. Le facce si confondono, i veli in testa anche, come le lingue e gli alfabeti. E se la lingua turca delle tribù altaiche esiste da millenni, gli alfabeti a Istanbul si sono dati il cambio insieme ai governanti. L’alfabeto arabo dei sultani, dopo aver spazzato via il greco ha lasciato il posto a quello latino il giorno della liberazione dagli oppressori.
Ora, questo universo simbolico riecheggia nel rosso del piccolo bicchiere a tulipano di tè turco. Da qui tutto si colora di una luce diversa. La Moschea Blu, Aghya Sophia, i bazar, le persone. E Istanbul sembra la riva di chissà quali approdi del passato, chissà quali trame del futuro. Dall’alto dell’aereo pare di vedere Piazza del Popolo gremita di persone, ma le persone sono case. Forse è solo una metropoli sovraffollata che non appartiene a nessuno, perché nessuno ha il coraggio di restarci più di qualche giorno, e adesso, dobbiamo andare anche noi.
|
|