Nelle culture sciamaniche, invece, il ruolo femminile é essenziale perché si sa che la donna ha al tempo stesso una sensualità più matura e completa di quella maschile ed ha al tempo stesso una maggior facilità di utilizzo dell’emisfero destro del cervello, della parte intuitiva, più vicina ai messaggi del cuore e delle dimensioni spirituali.
Del resto, rileggendo in una chiave diversa lo stesso racconto della Genesi, vediamo chela donna é stata la prima a raggiungere la “conoscenza del bene e del male”, utilizzando anche l’energia del serpente (Kundalini...), dopo di ché ha condiviso tale conoscenza con l’uomo. Solo la comparsa di un dio patriarcale vendicativo ha posto fine all’equilibrio edenico, introducendo i concetti di sofferenza, vergogna, etc. che per millenni hanno bloccato la crescita armoniosa e gioiosa degli esseri umani. L’energia del serpente é stata schiacciata, e la modalità patriarcale ha subito mostrato il suo volto: fratricidio, invidia, separazione…
La prima parte del racconto edenico é comune a molte culture sciamaniche, nelle quali é regolarmente una figura femminile a portare la conoscenza: la Donna Ragno degli Hopi, Orejona nelle civiltà precolombiane, le sacerdotesse del mondo celtico…
Nella storia degli Hopi, popolazione tuttora matriarcale, non é mai stata combattuta una guerra; di fronte ai vari imperialismi storici: Navajo prima, spagnoli poi, statunitensi e ancora Navajo in tempi contemporanei, gli Hopi si sono sempre limitati a ritirarsi e spostarsi in zone via via meno appetibili, fino a finire sulle attuali tre mesa nel deserto dell’Arizona. L’unica battaglia cruenta combattuta nell’arco della loro storia millenaria é stata quella con la quale sono riusciti ad impedire l’ingresso dei missionari cattolici nella loro riserva perché – come racconta Dan Evehema, l’ultracentenario anziano della tribù che ho avuto l’onore di incontrare due anni fa in Hopiland – “le profezie ci avevano sempre avvisato che quello sarebbe stato il pericolo più grande per la sopravvivenza della nostra tradizione”.
Recuperare le tradizioni e le tecniche sciamaniche significa una preziosa opportunità per riappropriarsi di un bagaglio esperienziale che é quanto mai attuale proprio in un momento in cui lo sviluppo esclusivo della razionalità, unita alla consapevolezza ormai generalizzata dei limiti delle religioni patriarcali, lascia in molti un senso di vuoto, di distacco tra la propria mente ed il proprio Cuore.
Caccia all’anima e Trance Dance sono espressioni ancora viventi della cultura della dea; in realtà sono due aspetti di una stessa esperienza di riconnessione profonda.
Mentre la Trance Dance può essere praticata in forma autonoma come tecnica di ingresso in una dimensione interiore, la caccia all’anima si completa sempre con una fase di Trance Dance; é solo in questa seconda parte del rituale che si ha, infatti, la possibilità di integrare la guarigione sul piano fisico, di “riportare a casa fino in fondo” le parti di anima appena recuperate.
La mente analitica tende per sua natura a separare, parcellizzare, e identifica i due momenti del rituale come due esperienze diverse; ci sono addirittura persone in Occidente che propongono la sola caccia all’anima priva dell’aspetto integrativo, snaturando completamente l’approccio sciamanico a questa tecnica. Nella nostra cultura basata sulla mente, infatti, il viaggio sciamanico “fa più rituale”: sembra più affascinante, più magica. Siamo troppo abituati a privilegiare le esperienze mentali ed intellettuali rispetto a quelle fisiche, e questo ripropone la divisione corpo/mente che il lavoro sciamanico mira invece a superare.
Non esistono esperienze privilegiate nello scorrere della vita, così come non esistono momenti privilegiati nei rituali sciamanici; come in fisica ed in chimica, il tutto é di molto superiore alla somma delle parti: l’acqua é qualcosa di molto diverso dalla mescolanza di due gas (idrogeno e ossigeno).
Chi conosce l’esperienza della Caccia all’Anima sa che la danza che completa la prima caccia, quella all’animale di potere, può costituire un’esperienza di grande potenza: ricordo, quando ho danzato l’avvoltoio, di aver percepito il suolo sul quale poggiavano i miei piedi come qualcosa di estremamente lontano, come se effettivamente mi stessi librando nell’aria a grandi altezze; muovevo le dita delle mani come se reggessero e spiegassero due ali. Stavo realmente “volando”, e il fatto di essere bendato mi ha aiutato a entrare fino in fondo nell’esperienza. A livello interiore, l’esperienza é stata molto simile a quella che gli sciamani chiamano “shapeshifting” (mutazione di forma)…
Per informazioni sull'attività di Giancarlo Tarozzi e dell'Associazione Pachamama, consultare il sito web.tiscali.it/pachamama, scrivere a pachamama@inwind.it o telefonare al 069032785 o al 3387255800.
Non aver paura di crescere è benessere
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