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In tutta – troppa? – libertà. Abbracciare tutto questo, con consapevolezza e sentimento, è un compito immane. Che toccherebbe a ciascuno di noi ogni giorno.

E non sembriamo mai soli, siamo interconnessi, collegati a persone e agenzie di conoscenza. Internet, sms, telefono. Uscite serali, pranzi di lavoro, palestre, ascensori. E la vita è frenetica: il lavoro fino alle venti, lo sforzo di divertirci, di abbronzarci, di pigiarci gli uni con gli altri sotto un ombrellone. Meglio alle Maldive, ma va bene anche Follonica. E poi le foto con la digitale, o le istantanee attraverso il telefonino. “Guarda come mi diverto, cosa ho visto, mentretuchissàdovesei”. Ma a chi stiamo parlando? E perché? Forse ci vorrebbe una pausa. Un passo a lato.

Ci vorrebbe di conversare a bassa voce con la vicina di casa, o l’amico di sempre. Ci vorrebbe di osservare curiosi la curvatura dei nostri piedi poggiati sul pavimento. Di rompere l’assedio, staccare il telefono, cucinarci un’omelette alle erbe fini. Prenderci cura di noi stessi, perché il mondo non lo fa più, o meglio non finge più di farlo. Ci ha sollevato da una responsabilità che in realtà ci è sempre appartenuta.

Recuperare uno spazio nostro è un compito assolutamente meno banale di quanto sembri. Dobbiamo saperci astrarre per scegliere, o forse estrarre: estrarci dal flusso dei contratti a termine, degli aperitivi, dei clacson, delle scollature. L’apnea emotiva è un pessimo compagno di viaggio, soprattutto quando vorremmo essere presenti a noi stessi.

Viviamo in un’epoca che ci chiede di scegliere in continuazione. Senza poterci riferire al passato e immersi in un presente che si trasforma con un’accelerazione che stordisce. E sapendo che la responsabilità è nostra, che se sbagliamo ci saremo fatti del male da soli. La vita “a la carte” richiede un petto grande. Spalle che si facciano carico della nostra difficoltà nel leggere il mondo e noi stessi, della nostra fallibilità.

E serve, poi, lasciare intatto un angolo della nostra innocenza. Preservarci dal caos in cui stiamo, ridendone. Sollevarci dalle difficoltà con l’acrobazia che è l’ironia. Non è lasciato a noi il compito di dare un senso alle cose? Non per intero, certo, ma abbiamo una libertà anche in questo: decidere quando e cosa considerare un problema o un gioco. Siamo padroni di adottare l’atteggiamento che vogliamo: anche questa è una difficoltà, ma è insieme un’opportunità.

E la risata è uno scarto dell’intelligenza che evita la paralisi. Muoversi è quasi sempre una salvezza. Finché non si arriva a capire che è proprio questo il bello del gioco. Che la libertà, come a volte si ha difficoltà a pensare, si può cavalcarla più che temerla. Che l’ultimo secolo, anche se si è divertito a pasticciare le mappe di navigazione, ci ha fatto un regalo e non un dispetto.

Tocca a noi, all’ individuo: oggi è più utile il diario di bordo delle vecchie cartine. Spaventati, guerrieri e comici: parafrasando uno dei primi libri di Stefano Benni compare un percorso possibile per districarci dalle secche di quest’epoca. Abbiamo il diritto e la necessità di vivere questi tre stati, per rigirarci fra i polpastrelli tutta la libertà di cui disponiamo.


(07/08/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Dall'unione dell'anima e del corpo nasce il benessere

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