"Gentile Dottoressa, non molto tempo fa, nel suo articolo su Terranauta del 13 aprile scorso, ha parlato della tecnica del bonding. Mi può dare altre notizie sull’argomento?"
Ho descritto questa tecnica inserendola tra i vari approcci di aiuto che utilizzo, anche se non sono esplicitamente di provenienza gestaltica, la specializzazione in psicoterapia che ho scelto di intraprendere anni fa.
Come ho scritto nello scorso articolo, il termine bonding indica un’esperienza di legame. E’ una tecnica in cui viene utilizzato il sostegno di qualcuno o qualcosa di esterno per facilitare l’espressione delle emozioni di rabbia e dolore.
Uso la tecnica del bonding in psicoterapia a volte fungendo io stessa da sostegno per il cliente, quando le sue condizioni psicologiche sono in grado di vivere l’esperienza del contatto diretto, corpo a corpo, col terapeuta; altre volte faccio usare un cuscino da tenere stretto come in un abbraccio.
Se invece si usa questa tecnica al di là del contesto psicoterapeutico si può ricorrere all’abbraccio con un albero.
E’ un efficace strumento per liberare le emozioni di rabbia e dolore senza l’intervento della parte mentale. Anzi, dopo il primo impatto a volte difficile ed impacciato perché è molto radicato in noi il condizionamento di venire giudicati in ogni istante, si può sperimentare la facilità nell’emettere un suono col solo intento di fare uscire rabbia, ma senza decidere a priori il motivo della stessa o dare spazio a pensieri legati ad essa (sono arrabbiato perché…, sono arrabbiato poco o troppo, non riesco ad esprimere rabbia perché…, oppure ci riesco troppo facilmente perché…, ecc.).
Mi capita di proporre questa tecnica quando sento che in un determinato momento della terapia è necessario facilitare un cambiamento nella persona attraverso un’esperienza diretta durante la seduta psicoterapeutica.
Spesso, infatti, si vivono dei cambiamenti interiori quando si consapevolizzano delle emozioni che magari si pensava di non avere, e ancor più quando ci si permette di esprimerle.
D’altra parte, la bioenergetica ci insegna che emozioni “spiacevoli” trattenute, quindi non espresse, creano dei veri e propri blocchi energetici nel corpo che minano la fluidità e spontaneità della capacità di sentire, percepire, e creano a volte anche problemi posturali o vere e proprie malattie del corpo.
Spesso l’uso della voce in un breve lasso di tempo, come può essere l’invito ad urlare per qualche minuto, fino a quando si capisce che la persona si sente svuotata di quella emozione, in realtà elimina solo un piccolo tappo di emozione trattenuta.
Con l’uso del bonding, che ha una durata sufficientemente ampia, la persona stessa, a posteriori, consapevolizza come in realtà non si raggiunge mai una fine, ovvero l’espressione totale dell’emozione.
Un presupposto operativo del bonding è che nell’individuo esistono strati sovrapposti di emozioni: uno strato di rabbia ne copre uno di dolore, sotto il quale c’è uno stato di quiete. Sotto di esso si trova un altro strato di rabbia e così via.
Il bonding lavora proprio attraversando e pulendo tutte queste stratificazioni emozionali.
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