LA FATTORIA E ALTRI ESPERIMENTI...
E SE FOSSIMO NOI I VERI SPIATI?

Ormai il reality imperversa sui canali televisivi. E il suo successo fa sorgere qualche sospetto: che siano gli spettatori i veri spiati?
di Agrippina Primi
Ce li avevano spacciati per indagini sociologiche. All’inizio italiano del fenomeno-reality si parlava tanto di cavie messe sotto osservazione, della crudeltà psicologica di sottoporre persone a esperimenti come fossero cose.

Sembrava, insomma, che lo facessero per noi: che per una volta, in modo tanto evidente, venisse data allo spettatore la possibilità di indagare le pieghe più profonde dell’animo umano, di speculare l’intimo dei comportamenti sociali in un contesto strano e straordinario come quello di una Casa.

Pareva ci venisse data l’occasione di frugare -alleggeriti da ogni senso di colpa- nelle camere da letto di un appartamento ‘reale’, senza filtri, senza mediazioni. Si pensava, addirittura, senza copione...

Qualcuno sui giornali scriveva contro, si dissociava sin dal principio. Ma tant’è: il cammino del progresso non si può intralciare o fermare, e neppure quello dell’importazione prodotti-tv.

Poi, come era prevedibile, l’esperimento ha funzionato. Ma abbiamo scoperto –guarda un po’- che quelli sotto osservazione eravamo noi, noi tutti: i “tele-visionari”. E allora alla casa è seguita l’isola, la beauty-farm e poi ancora la fattoria, che adesso è diventata una ‘fazenda’.

Siamo noi le vittime dell’indagine sociologica e ci continuiamo a sottoporre alla tortura senza averne preso davvero neppure coscienza, senza nemmeno sentirne il dolore. Ci siamo addirittura improvvisati critici televisivi perché, ovviamente, non si fa che parlarne e parlarne male.

La D’Urso insopportabile: eppure è ancora lì, con la sua faccia tesa come una calza da telecamera che non riesce a decidersi sul ruolo e vacilla tra una brava zietta e una spietata lanciatrice di coltelli da cucina. Gli ospiti in studio cercano di nascondere le poche idee che hanno per non alzare la media dell’intelligenza consentita.


E poi loro, i protagonisti. A leggere i loro curricula si nota un curioso fenomeno: c’è chi ha studiato da geometra, chi vendeva frutta e patate, chi commerciava in cerniere e chi in barba e capelli. Adesso sono tutti attori. Eppure non fanno gli attori nei teatri, in tv, al cinematografo. Sono lì, che riscoprono il gusto di una vita senza comodità e privilegi, che mungono le mucche, zappano la terra e piantano recinti.

Ci sono anche le ragazze: una giovane Carrisi (la famiglia più presente in tv dai tempi del trio Carlucci), una ex letterina, una ex presentatrice, una ex soubrette e via dicendo. Hanno tutte una cosa in comune: dichiarano di non essere invidiose, di non portare rancore. Invidiose di cosa? Rancore per chi?

Ce la mettono tutta, fanno quel che possono: tacchi alti, messa in piega, glutei in tiro, abito minimo, sorriso di campagna. Sembrano assenti, lontane persino da se stesse, eppure si sente che hanno bisogno di noi. Hanno bisogno del nostro sguardo addosso. Non vorrebbero ma devono usarci, ne va del loro futuro, della propria felicità professionale e non solo.

Allora perché essere così feroci, tanto critici? Se si può dare una mano a questi ragazzi –ma qualcuno ha più di cinquant’anni- perché ostinarsi a non guardarli? Non vogliono lavorare al buio, come tanti. A loro piacciono le luci del varietà, i lustrini della ribalta, una seconda occasione, un riscatto definitivo (che li liberi da quale rapimento?).

Dunque accendiamoli questi schermi, più che si può, finché non arriva per tutti il sospirato digitale.
Mal che vada ne tireremo fuori l’ennesimo ospite da talk- show: Raffaello Tonon, 26 anni. Fa davvero questo di mestiere...l’opinionista? E pensare che prima di Maurizio Costanzo ognuno aveva un’opinione sua e non sapeva di lavorare gratis.


(17/03/2005)