La voce parlata può diventare un valido strumento per lavorare sulla propria consapevolezza. Attraverso un uso appropriato della voce, è infatti possibile dare espressione alle proprie emozioni scavalcando la mente, spesso filtro dei nostri vissuti, e riconoscendole. In questo modo diventa più semplice acquistare consapevolezza dei motivi che le causano.
Si dice che non esistono due voci umane uguali tra loro, è come se gli armonici (la materia stessa del suono composta da particolari vibrazioni) di ogni individuo fossero mescolati in maniera diversa, in base anche alla storia personale.
Abitualmente le inflessioni della voce, ad esempio, segnalano tensioni, ansia, paura, rabbia, o anche stati di benessere e di rilassamento, ma spesso queste differenti modalità espressive non sono consapevoli, fatta eccezione per particolari circostanze.
Può capitare che qualcuno, anche mentre parla al telefono, noti proprio dalla nostra voce che “siamo giù” perché percepisce un tono flebile e lento, oppure che “siamo su di corda” perché percepisce una voce squillante, energica e non monotona.
Uno stato di tensione interiore provoca, fra le altre cose, la contrattura di vari muscoli. Si crea così una minore espansione del torace, perché si inspira meno aria, e un irrigidimento delle corde vocali le quali vibrano molto meno dovendo gestire una quantità limitata di aria. Questo provoca la tipica sensazione di voce “strozzata”, che limita fortemente la propria espressione verbale.
Nell’ambito del mio lavoro terapeutico, mi capita di utilizzare l’espressione vocale per sbloccare certe emozioni del paziente, quest’ultimo spesso, in un primo momento prova quasi imbarazzo a focalizzare l’attenzione sulla sua voce, ad emettere un urlo liberatore, a sentire la sua voce che canta anche solo semplici vocali.
Questo fa riflettere su quanto a volte il comportamento dell’essere umano sia guidato da abitudini che tendono a considerare dissociate tra loro tutte le innumerevoli funzioni, sia organiche che psicologiche di cui dispone. Si tende ad usare al minimo le proprie capacità e potenzialità, ricorrendo poi all’aiuto di uno “specialista”. La maggior parte delle volte il risultato non è altro che una riscoperta dentro di noi, di ciò che è stato sempre a nostra disposizione, e che attende solo di essere ripulito dalle ragnatele create dalle opportunità di crescita e consapevolezza addormentatesi.
Quando propongo in gruppi di lavoro l’emissione di suoni, la risposta istintiva è spesso “non so cantare, non ci riesco”. Tuttavia, dopo qualche minuto di prova la stessa persona scopre stupita, come un bimbo che si affaccia per la prima volta in un mondo nuovo, quanto sia semplice seguire ciò che è naturale. Si scopre quanto emettere suoni permetta di caricarsi di energia “sottile”, oltre a scaricare le energie “pesanti” legati a blocchi emozionali, e quanto sia tutto sommato semplice recuperare il potenziale vibratorio e di cura insito nella propria voce.
La natura è una sinfonia di suoni. Del resto, ogni forma materiale presente nell’universo emette vibrazioni che producono a loro volta suoni. Quindi imparando ad usare la voce consapevolmente, è possibile ristabilire una sintonia tra se stessi e le vibrazioni dei suoni della natura.
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Esistono diverse tecniche che utilizzano la voce come strumento terapeutico. Si va da quelle specificamente psicologiche, come il “primal” (l’emissione dell’urlo primordiale per tirar fuori emozioni legate soprattutto alla rabbia, bloccate magari da molto tempo), a tecniche più morbide ma molto efficaci quali quelle suggerite dal musicoterapeuta Philippe Barraquè, che propongono l’uso di particolari combinazioni di consonanti per stimolare l’equilibrio psicofisico. Ci sono poi tecniche che lavorano specificamente sugli armonici della voce, che “nutrono” la parte spirituale dell’essere umano attraverso una sintonizzazione con l’aspetto energetico del suono. Anche alcune tecniche di bioenergetica usano l’urlo o la risata, un’ulteriore manifestazione della nostra voce, capace di sbloccare tensioni energetiche legate a particolari emozioni e stati d’animo. Un’altra tecnica è poi l’euritimia di stampo antroposofico.
Un denominatore comune a tutte queste modalità sta nel non poter agire sulla voce senza lavorare sul respiro. Il linguaggio dà una forma al respiro. Dunque, usare consapevolmente la propria voce e conoscerla vuol dire anche imparare a gestire il proprio respiro, con la conseguente diminuzione di quegli stati emozionali che tendono a bloccarlo, quali l’ansia, la paura incontrollata, ecc. Questo perché il ritmo della respirazione dipende sostanzialmente dalle nostre emozioni.
Molte culture hanno riconosciuto, e riconoscono tutt’ora, l’importanza del suono come strumento terapeutico. I sacerdoti dell’Antico Egitto usavano la vibrazione sonora delle vocali per equilibrare i centri energetici della persona, perché sapevano dell’influenza che suoni specifici hanno sulle diverse parti del corpo. I nativi americani, inoltre, usano l’intonazione della voce e la produzione di suoni ripetitivi per riarmonizzare le emozioni, il corpo, e lo spirito.
In sintesi la voce, articolata in parole e/o modulata in canto, a mio parere è uno degli strumenti di espressione dell’essere umano ancora inesplorato dal mondo dei “non addetti ai lavori”.
Quando insegno tecniche di consapevolezza inerenti a quest’aspetto della persona mi rendo sempre più conto del fatto che la voce non è uno strumento di lavoro sulla persona a sé stante. In realtà, mentre si parla e si ascolta (funzione strettamente connessa all’emissione di suoni) si agisce con tutto il corpo. Così le forme sonore che vibrano in noi, modellano il nostro schema corporeo vocale in base alla storia personale e al modo che ognuno ha di percepire la realtà.
Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
e-mail: greco.mariarosa@libero.it
tel. 338/7255800
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