Roma, 16 gennaio 2004- Si è concluso con una condanna il processo agli attivisti di Greenpeace, protagonisti il 3 luglio 2002 di un´azione dimostrativa all’inceneritore di Como. I 19 imputati sono stati condannati per "interruzione di pubblico servizio" per essersi incatenati ai cancelli dell'inceneritore. I 5 climbers che si erano arrampicati sulla ciminiera dell'inceneritore del capoluogo brianzolo, alta circa 25 metri, sono stati, invece, assolti dall’accusa di "invasione di terreni o edifici".
Una volta ricevute le motivazioni della sentenza, l´associazione deciderà se ricorrere in appello. Greenpeace, che da anni lavora nell’ambito della gestione dei rifiuti, divulgò in quell’occasione i risultati delle analisi effettuate su campioni di latte di mucca prelevati in fattorie site in prossimità di inceneritori.
"Il principio "chi inquina paga" nel nostro Paese viene capovolto. Eravamo a Como a manifestare per tutelare la salute e l´ambiente e siamo stati condannati. Non si può negare l´impatto ambientale, in termini di produzione di diossine e metalli pesanti degli inceneritori. Continueremo a promuovere misure alternative all’ incenerimento dei rifiuti. Anziché bruciare i rifiuti, dobbiamo imparare a ridurre, riusare e riciclare" spiega Vittoria Polidori, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace.
Intanto, il quadro degli inceneritori in Italia è in continua evoluzione: gli impianti operativi sono 50 in gran parte situati al nord Italia; 31 impianti nel nord (di cui 13 nella sola Lombardia) e 9 in Emilia-Romagna; 13 al centro di cui 3 impianti a CDR sono i citati impianti del Lazio (Colleferro e San Vittore del Lazio). Al sud gli impianti sono 6 ma bisogna ricordare che in Sicilia è stato approvato un piano industriale che prevede la realizzazione di 4 impianti per la termovalorizzazione della frazione secca derivata da trattamento meccanico dei rifiuti indifferenziati. Per mettere in luce gli effetti sulla salute dell'incenerimento, Greenpeace aveva condotto nel 2002 analisi in 4 regioni italiane su campioni di latte di mucca, provenienti da fattorie poste a diversa distanza da impianti d'incenerimento di rifiuti urbani, in un intervallo fra 250 e 5500 metri.
"Il latte prelevato in prossimita' dell'inceneritore di Como e' risultato tra i piu' contaminati da piombo e diossine - spiega Vittoria Polidori, campagna inquinamento di Greenpeace - la concentrazione di piombo è risultata 10 volte superiore il limite massimo consentito dalla legge, mentre il consumo di 700 grammi di latte prelevato a Como e' sufficiente a raggiungere la soglia limite di assunzione giornaliera di diossine indicata dall'Oms per una persona di 70 chili. A un bambino di 20 chili di peso bastano 210 grammi per raggiungere quella soglia". Si e' visto che gli inquinanti si trovano in concentrazioni decrescenti man mano che ci si allontana dall'inceneritore, che anche l'Unep (Programma Ambientale delle Nazioni Unite) identifica come fonte principale di diossine.
Oltre alle insorgenze tumorali, diossine e pcb possono provocare danni al sistema immunitario, riproduttivo, respiratorio, nonché disturbi ormonali. L'impatto delle diossine e dei PCB sia a livello prenatale (placenta e cordone ombelicale) che postnatale (latte materno) solleva preoccupanti interrogativi sui possibili effetti a livello neurocomportamentale.
Per quanto riguarda i metalli pesanti, la concentrazione di piombo si e' rivelata dalle due alle dieci volte superiore al limite imposto dall'Unione Europea. L’impatto sanitario del piombo è legato ad effetti a carico di diversi sistemi, fra cui quello nervoso, cardiocircolatorio, urinario e riproduttivo.
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