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E' ENTRATO IN VIGORE IL PROTOCOLLO DI KYOTO: “L’ALBA DEL GIORNO DOPO” SORGERA' SENZA CATASTROF
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“Questo e' uno storico passo avanti negli sforzi del mondo per combattere una minaccia che globale lo e' davvero”. Kofi Annan, segretario generale dell'Onu, 18 novembre 2004.
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di Daniel Tarozzi
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Il 16 febbraio 2005 il Protocollo di Kyoto, firmato da 160 nazioni nel 1997, è diventato vincolante per tutti i paesi che lo hanno ratificato. In un’epoca di guerre, divisioni, sopraffazioni. In un’epoca in cui dominano le logiche della paura e dell’egoismo, della miopia e dell’incapacità di vedere il domani, una semplice firma, quella di Putin, diventa un simbolo di un mondo diverso, la speranza di un futuro possibile.
Il 18 novembre scorso, infatti, l'ambasciatore Andrei Denisov, rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite ha presentato formalmente gli strumenti di ratifica russi relativi al Protocollo di Kyoto sulla riduzione dei cosiddetti gas-serra per combattere il riscaldamento atmosferico globale ed i relativi cambiamenti climatici. 90 giorni dopo, lo scorso 16 febbraio appunto, il Protocollo è entrato quindi in vigore. E’ stato lo stesso Kofi Annan ad annunciarlo, a margine della sessione straordinaria di due giorni del Consiglio di Sicurezza a Nairobi indetta soprattutto per affrontare la situazione interna in Sudan.
Questo atto era l’ultimo passaggio di quanto avviato circa un mese prima, con la ratifica del Protocollo da parte della Duma e la successiva firma del presidente russo Vladimir Putin.
L’adesione della Russia al Protocollo era diventata determinante per la sua entrata in vigore, quando il presidente americano Bush, nel 2001 - appena eletto - annunciò al mondo che non avrebbe ratificato il Protocollo, sebbene gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione di Clinton, fossero stati tra gli ideatori del patto. Kenneth Brill, plenipotenziario americano per le trattative sul clima in corso nel 2001 a New York, affermò “Kyoto is dead", il Protocollo di Kyoto è morto. La logica che guidava quest’affermazione era semplice: gli Stati Uniti non firmano il Protocollo, quindi il Protocollo è morto.
Ma questa volta si sbagliavano. Dopo ripetuti rinvii e dichiarazioni contrastanti, dopo svariate conferenze sul Clima (l’ultima – la Cop 9 - lo scorso dicembre a Milano), dopo che giornali e televisioni di tutto il mondo avevano annunciato più volte che non c’era niente da fare, quando anche molte voci del mondo ambientalista cominciavano a perdere la speranza, la sospirata firma è arrivata.
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Perché il Protocollo entrasse in vigore, infatti, era necessario che fosse ratificato dalle nazioni industrializzate responsabili complessivamente di almeno il 55% delle emissioni responsabili dell'effetto serra (vedi approfondimento). Senza l’adesione della Russia e dopo il ritiro degli Stati Uniti (responsabili di circa il 36,1% delle emissioni dannose di anidride carbonica), questo obiettivo era irraggiungibile, nonostante ben 125 paesi, tra cui l’Italia nel 2002, avessero ratificato il trattato. Ma la firma di Putin ha portato in dote un buon 17% di emissioni, grazie al quale si è ampiamente superato il tetto del 55% raggiungendo addirittura il 61,6% delle emissioni totali.
Poco importa al pianeta, se dietro la decisione del governo russo ci siano promesse da parte dell’Unione Europea di un ingresso del Wto o quant’altro. Poco importa che dietro all’azione di Putin non ci sia un interesse reale verso il futuro del nostro pianeta, quanto probabilmente un mero calcolo di interessi. Quello che importa questa volta è il risultato.
A questo punto, però, bisognerà passare dalle parole ai fatti. Il trattato prevede che i paesi industrializzati firmatari riducano le emissioni globali di anidride carbonica del 5,2% rispetto ai valori registrati nel 1990 entro il 2008-2012. L'Italia deve ridurle del 6,5% mentre l'Unione europea si è impegnata a ridurle dell'8%. Secondo dati dell'Agenzia europea dell'Ambiente l'anidride carbonica, il gas maggiormente responsabile dell'effetto serra, è in costante crescita: 150 anni fa era 250 ppm (parti per milione), nel 2000 era di 360 ppm e tra 50 anni, se non si interviene, si arriverà a 500 ppm. In realtà, quindi, le emissioni tra il '90 e il 2000 sono aumentate e i paesi industrializzati dovranno fare uno sforzo notevole per raggiungere gli obiettivi designati. Bisogna precisare che le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra devono essere ridotte considerando l’intero pianeta. In pratica, non è importante dove vengono ridotte, ma solo se vengono ridotte.
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La situazione italiana ed Europea:
In Europa la Germania ha già raggiunto e superato gli obiettivi indicati dal Protocollo. L’Italia, invece, deve fare ancora molta strada. La direzione generale del ministero dell’Ambiente, guidata da Corrado Clini, è alle prese con la contabilità delle riduzioni. «E’ vero, gli impegni ci imponevano una riduzione del 6,5% sotto i livelli di emissione del 1990 e siccome i consumi energetici sono cresciuti, ora dovremo ridurre di circa il doppio entro il 2012. Ma abbiamo già individuato gli strumenti e le modalità per farlo, coinvolgendo le imprese nazionali in azioni che diventeranno economicamente vantaggiose», assicura il dirigente.
Secondo i piani, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri gas riscaldanti dovrà attestarsi attorno a 100 milioni di tonnellate all’anno di CO2 equivalente. «Concentreremo gli interventi nel quinquennio 2008-2012, con la metà delle riduzioni in campo nazionale e l’altra metà in Paesi in via di sviluppo, così come previsto dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto», spiega Clini. Poiché il problema del riscaldamento è globale, infatti, è indifferente che i gas siano eliminati in un luogo o nell’altro.
In campo nazionale le azioni previste riguardano incentivi per lo svecchiamento del parco automobilistico; mini impianti di cogenerazione dell’energia elettrica e del calore diffusi a livello di quartiere; riforestazione di terreni marginali con specie ad alto assorbimento di CO2. «Per ogni settore stiamo individuando le imprese pubbliche e private da coinvolgere e le regioni in cui operare», aggiunge Clini.
L’impianto di nuove foreste o la coltivazione di quelle già esistenti ma da rivitalizzare sono già iniziati in Cina e Argentina e saranno estesi in Brasile a in alcuni Paesi Nord Africani come contributo alla lotta anti-desertificazione.
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Ma Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, afferma: «Anche in “casa nostra” qualcosa dovrà cambiare: ricordiamo che l'Italia, invece di diminuire le proprie emissioni di anidride carbonica, le ha aumentate del 9% e che il nostro Paese è sotto scacco in Europa per aver presentato un piano di commercio delle emissioni che le aumenta notevolmente, invece di diminuirle. Ora si deve agire sul serio e siamo pronti a dare tutto il nostro supporto a piani e azioni volte davvero a tagliare l'inquinamento».
La Commissione europea nel frattempo ha accolto altri otto piani nazionali *di assegnazione delle quote di emissione di CO2. Sei di questi piani, presentati da Belgio, Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo e Repubblica slovacca, sono stati accettati senza riserve. Per Finlandia e Francia, invece, sono stati approvati a condizione che vengano apportate alcune modifiche tecniche che li renderanno automaticamente accettabili, senza la necessità di una seconda valutazione da parte della Commissione. Fino ad oggi la Commissione ha concluso la valutazione di 16 piani. Attualmente è in corso l'esame del piano presentato dall'Italia, insieme a quelli di Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Spagna ed Ungheria.
Il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione garantirà che le emissioni di gas serra prodotte dai settori energetico e industriale siano abbattute al minor costo possibile per l'economia, facendo sì che l'UE e i singoli Stati membri possano raggiungere gli obiettivi di emissione fissati nell'ambito del Protocollo di Kyoto del 1997.
*I piani nazionali di assegnazione definiscono il numero di quote di emissione di CO2 che gli Stati membri intendono assegnare agli impianti industriali ad alto consumo energetico.
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(17/02/2005)
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