Comunemente si ritiene che sul tempo si possa discutere per ore senza dire niente e che se una conversazione va a cadere sul tempo è segno che i due parlanti non hanno più niente da dirsi. E' questo un fenomeno sociale normale, spesso spiegabile dalla ricerca di una gentilezza distaccata, di una cordialità che cerca di coprire un vuoto d interesse, nella ricerca di un argomento futile che non possa, anche volendo, indispettire nessuno.
Quando però il fenomeno non riguarda due parlanti ma un'entità importante come un telegiornale che, almeno in teoria, dovrebbe tenere i telespettatori informati su ciò che di rilevante succede nel paese, c'è da chiedersene seriamente il motivo.
Sono ormai alcune settimane che almeno uno dei primi tre servizi dei principali telegiornali pubblici e privati italiani riguarda le straordinarie condizioni atmosferiche che l'ira divina ha scatenato sull'Italia, riducendo il paese del Sole a una specie di succursale della Siberia, il paese dal quale proviene la famigerata corrente di aria fredda che ci sta attraversando. Immagini catastrofiche ci fanno vedere strade interrotte, slavine, case con le porte bloccate da metri di neve, mentre il commentatore snocciola dati preoccupati su minime stagionali, record di nevicate e inverni più freddi degli ultimi trenta, quaranta o cinquanta anni.
Qualcuno si allarma (come alcuni genitori che hanno sentito che l'Umbria è ricoperta da 3 metri di neve e mi intimano di tornare a casa), qualcun'altro si ricorda che anche l'inverno scorso doveva essere, secondo i telegiornali, quello più freddo degli ultimi cinquant'anni, e altri ancora, fuori dalle grandi città, sulle quali non vengono date notizie particolarmente allarmistiche, nota perplesso che dalla sua finestra non vede né pinguini né gli esquimesi.
I dati sul freddo sono più allarmanti man mano che ci si allontana dalle grandi concentrazioni umane; in pratica dalla verifica. Ci si trova quindi, nelle comunità più piccole, a fare i conti con la poca aderenza della notizia alle condizioni reali, alla verità vista coi propri occhi. Non che non ci siano attualmente regioni in difficoltà per quello che semplicemente si potrebbe chiamare inverno, ma la generalizzazione allarmistica e, in alcuni casi, l'invenzione totale di emergenze fa riflettere seriamente sulla serietà del giornalismo italiano.
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Nel periodo in cui si preparano le elezioni iraquene, in cui si decidono le strategie e le tendenze per le prossime elezioni politiche, in cui in Europa si discute della nostra finanziaria e della liberalizzazione della produzione di prodotti italiani come la grappa, il giornalista del telegiornale si fa "massaia" e, per allentare la tensione, parla del tempo, esattamente come farebbe un conversatore in empasse, con un comportamento inqualificabile per chi, invece, ha una responsabilità sociale molto maggiore del compiacere la persona con la quale conversa.
Che il pubblico televisivo chieda di non essere informato nel vero senso della parola? Che al telegiornale venga richiesto di fare la funzione più di un varietà che di uno strumento di informazione? Che si resti incollati allo schermo per vedere le immagini del freddo record come si è interessati alle grandi sciagure, alle storie drammatiche, alle disgrazie altrui che, almeno, non fanno pensare alle proprie?
Che sia il pubblico a muovere la voglia di sensazione piuttosto che una redazione poco professionale non è un argomento dimostrato. Mantenendo da parte la questione del sensazionalismo, come è possibile che possa esserci una così grande distorsione di notizie verificabili come "in tutta la regione x nevica" oppure "le città y e z sono sommerse e paralizzate dalla neve"? Non è possibile a questo punto non domandarsi se questo pressappochismo non si applichi solo al faceto argomento del tempo o anche a questioni più importanti, come la politica estera o quella interna.
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