L'AYURVEDA
LE GRANDI TRADIZIONI MEDICHE DELL'ANTICHITA'

Tratto da NATURA & BENESSERE n° 11
di Ernesto Iannaccone
L'India, in questi ultimi anni, sta vivendo una fase di grande orgoglio nazionalista. Da quando il BJP (Bharatiya Janata Party) è salito al potere negli anni '90 si è via via manifestato un clima di crescente intolleranza religiosa e culturale a discapito delle minoranze etniche e religiose. Il BJP ha avallato violenze e massacri come, ad esempio, quello della moschea di Ayodhya ed i soprusi compiuti nei confronti dei dalit, la casta inferiore. L'India di oggi assomiglia sempre più ad un paese fondamentalista, interamente pervaso da un sentimento di orgogliosa “induità” (hindutva), intesa come purezza razziale, che in noi europei richiama i fantasmi sopiti delle grandi tragedie del secolo scorso.

Questo crescente nazionalismo si accompagna, poi, ad una revisione a trecentosessanta gradi della storia politica e culturale dell'India. Ne sono un esempio i Veda, i testi sacri della tradizione indiana, sui quali si fondano le filosofie e la visione spirituale che hanno profondamente influenzato la società indiana dall'antichità fino ad oggi.

La sorgente e la datazione temporale dei Veda sono piuttosto incerte: la teoria prevalente, sino a pochi anni fa, era che i Veda fossero stati portati in India dai conquistatori ariani, di carnagione chiara, che avrebbero invaso l'India nord-occidentale circa millecinquecento anni prima di Cristo. Oggi questa ipotesi è stata messa in discussione dagli storici nazionalisti indù i quali rifiutano l'idea che i Veda, il più grande patrimonio culturale dell'India, siano stati importati dall'Iran o dalla regione del Mar Caspio.

Questi storici affermano con vigore la tesi dell'indianità dei Veda e proclamano, basandosi su di una serie di ritrovamenti archeologici, che anticamente esisteva in India una società molto sviluppata la quale avrebbe elaborato le profonde concezioni filosofiche e spirituali dei Veda. Questa stessa società sarebbe poi andata distrutta in seguito ad una serie di ripetuti cataclismi naturali – forse delle tremende inondazioni, tipiche del periodo post-glaciale, come sostiene il celebre archeologo anglosassone Graham Hancock – ma i Veda sarebbero in qualche modo sopravvissuti per essere poi trasmessi alle generazioni future. Questa visione cancella la teoria dell'invasione ariana che viene così sminuita al rango di una banale migrazione pastorale, non infrequente nei tempi antichi.

La nozione dell'esistenza di una grande ed antica civiltà indiana avalla, ovviamente, l'idea di un primato culturale dell'India rispetto alle altre nazioni ed esalta le componenti più fanatiche del nazionalismo indù i cui tragici risultati sono, tra l’altro, la persecuzione delle minoranze etnico-religiose e le grandi manifestazioni di giubilo seguite al lancio della prima testata nucleare indiana che portava il nome di Agni, una delle divinità del pantheon vedico. Le osservazioni di studiosi occidentali come Hancock, in origine neutre e comunque suscettibili di evoluzione, sono state strumentalizzate al fine di dimostrare il primato della razza indiana.


Tuttavia, guardando alla storia con sguardo obiettivo, risulta difficile pensare che l'India sia stata l’unica madre di tutte le culture e che ogni grande intuizione sia nata proprio e solo in quel paese. L'India ha influenzato ma, come vedremo, è stata anche molto influenzata e gli scambi, reciproci, con le grandi culture dell'antichità, in primis quella greca e quella cinese, sono stati molto più intensi e profondi di quanto si potrebbe supporre.

Ciò riguarda tutte le branche del sapere umano e le scienze applicate, come l'architettura, la medicina e finanche l'astrologia. Si prenda ad esempio il più importante degli antichi trattati indiani sullo Jyotish, l'astrologia vedica. Il suo nome è Parashara Hora Shastra, un titolo che denuncia un’evidente ispirazione greca.

Il termine hora deriva, infatti, dal greco horoscopos, “colui che osserva l'ora” (della nascita). In particolare, nell’ambito della scienza medica (della quale si tratterà nel presente articolo) le culture che nel corso dei secoli hanno maggiormente influenzato il mondo indiano sono state quelle dei greci, dei cinesi e degli arabi.

Il primo contatto storicamente riconosciuto tra Grecia ed India avvenne nel IV secolo a.C. quando le truppe macedoni, guidate da Alessandro Magno, invasero l'India nord-occidentale. Alessandro sognava di conquistare l'intera India, da occidente ad oriente, ma dovette ben presto rinunciare al proprio progetto perché le sue truppe, stremate da una campagna militare che durava da anni, si rifiutarono di proseguire oltre la valle dell'Indo. Alessandro rimase poco tempo in India, ma l'influenza del suo passaggio fu enorme: egli stabilì dei regni che rimasero in vita per oltre due secoli prima di venire fagocitati dal mondo indiano. Dall'incontro tra la cultura ellenistica e quella indiana nacque la straordinaria e raffinata civiltà Gandhara sviluppatasi nella valle dello Swat dove, nel secolo scorso, il grande orientalista Giuseppe Tucci condusse una serie di campagne archeologiche. Per quel che riguarda il campo medico, gli scambi tra le due culture furono certamente intensi e di grande rilievo. La medicina greca classica e quella indiana, l'Ayurveda, presentano infatti un'infinità di punti di contatto sia dottrinali che pratici. Né bisogna dimenticare che a quel tempo “medicina” significava anche “filosofia” e che le cure mediche discendevano da una visione del mondo e dell'uomo straordinariamente profonda, ispirata ad un senso di unione dell'essere individuale con l'universo intero.

Il più grande esponente della medicina greca antica, Ippocrate di Kos, afferma che nel corpo umano operano quattro umori: flegma, bile gialla, bile nera e sangue. Gli umori di Ippocrate rassomigliano in modo impressionante ai quattro dosha (impurità) menzionati da Sushruta, uno dei padri dell'Ayurveda: vata (vento), pitta (bile), kapha (flegma) e rakta (sangue).

Per Ippocrate, come per gli ayurvedici, gli umori alterati del corpo andavano rimossi per lo più con terapie purgative o mediante il digiuno. Prima di venire eliminati, però, essi dovevano “maturare” in modo tale da poter fluire fuori dal corpo senza intoppi.

Ecco che cosa scrivono al riguardo rispettivamente Ippocrate e Vagbhata, un altro dei grandi autori dell'Ayurveda:
"Bisogna purgare e muovere gli umori alterati quando sono maturi e non prima, a meno che essi non lottino per venir fuori da sé, il che non è il caso il più delle volte.

"I dosha alterati che si sono diffusi in tutto il corpo aderendo ai tessuti, se non cercano di venir fuori da sé non andrebbero espulsi forzatamente, così come non si estrae il succo da un frutto immaturo, perchè la loro difficoltosa estrazione danneggerebbe il corpo. Bisogna preparare quei dosha alterati con erbe digestive, con misure di oleazione e fomentazione; poi, al momento giusto, quando sono pronti, vanno eliminati con misure di purificazione, tenendo ben presente la forza del corpo."


Anche i consigli sull'igiene che Ippocrate rivolgeva ai propri pazienti sono del tutto vicini allo spirito dell'Ayurveda: Ippocrate, come gli ayurvedici, consigliava una vita semplice, condotta all'aperto ed accompagnata da esercizio fisico, e un'alimentazione essenziale perlopiù basata su grani, frutta e verdura.

Egli raccomandava di purificare periodicamente il proprio corpo dagli umori accumulati, proprio come un medico indiano avrebbe fatto ricorso alla depurazione stagionale del “panchakarma”.

Le medesime relazioni tra stagionalità e disordini, tra climi e tipi di individui, descritte da Ippocrate si ritrovano, pari pari, nei testi ayurvedici. La cultura medica dei greci ha dunque modellato quella degli indiani? O è vero invece il contrario? O, ancora, non possono i due sistemi essersi sviluppati in modo indipendente l'uno dall'altro per poi incontrarsi proficuamente in seguito? Simili interrogativi non trovano facilmente risposte certe per la mancanza di dati affidabili: Ippocrate è probabilmente antecedente rispetto a Caraka e Sushruta, ma cosa vi era prima di loro? Gli archeologi, ad esempio, scavando tra le rovine di Mohenjo Daro, antichissima città parte di una civiltà che fiorì in India oltre quattromila anni fa, hanno trovato delle vasche termali che documentano la pratica di un'avanzata forma di idroterapia.

Un altro grande dilemma storico si presenta quando ci si chiede se l'Ayurveda abbia inventato la pratica diagnostica dell'esame del polso (Nadi Pariksha) o se la abbia importata da altri sistemi. Secondo i medici indiani il Nadi Pariksha fu sviluppato dai grandi maestri dell'Ayurveda.

E' indisputabile, però, che di esso non si faccia menzione nei trattati classici ad eccezione di una breve citazione di Charaka che afferma: "Il medico dovrebbe sentire il battito alla radice del polso per stabilire se nel paziente vi sia vita o meno".

In effetti il primo testo ayurvedico nel quale l'esame del polso viene descritto con completezza è la Sarngdhara Samhita che risale addirittura al XIV secolo d.C.
I testi cinesi
Grandi maestri in questa disciplina furono, poi, soprattutto i medici arabi che esercitarono la loro arte presso le corti dei sovrani musulmani che governarono l'India a partire dall'undicesimo secolo d.C.; si racconta addirittura che essi fossero in grado di visitare le pazienti e di porre diagnosi esatte stando in un'altra stanza e palpando il loro polso attraverso un piccolo foro praticato nel muro.

Gli indiani, infine, fecero propria questa conoscenza, sviluppandola e conservandola nei secoli, e ciò testimonia la loro grande abilità di assorbire e di preservare i valori utili. La probabile catena di trasmissione fu dunque probabilmente Cina - Persia - India, ma gli indiani sono oggi i più grandi maestri del mondo in questa disciplina.

Molti medici ayurvedici testimoniano, infatti, con la loro abilità pratica l'antico detto di Charaka: "Per curare le malattie del paziente il medico deve penetrare nel corpo di questi con la luce della propria conoscenza ed intelligenza."

Come si è visto, i dubbi storici sono molti e destinati, forse, a non trovare risposta, ma ciò che ci preme sottolineare è l'universalità dei principi fondamentali, sia che si tratti di medicina greca che indiana e cinese. L'uomo è uno, sembra dirci la storia, ed il soddisfacimento dei suoi bisogni passa attraverso la realizzazione di un'armonia profonda con la sua interiorità e di una sintonia totale con la Natura intorno.

Questi obbiettivi accomunano tutte le grandi tradizioni mediche dell'antichità e non è dunque utile porsi orgogliosamente come i primi iniziatori della scienza.


(01/03/2007)