SCIOPERO DEI TELESPETTATORI: L’ITALIA GUARDA FUORI
Giunta alla sua terza edizione nazionale, l’iniziativa di Esterni ha coinvolto lo scorso 11 dicembre quasi un milione di non-telespettatori che si sono presentati in piazza, nei teatri, nei cinema, semplicemente con un telecomando in mano…
di Claudia Bruno
Il telecomando come unità di misura nazionale di baratto. Questo si legge nelle esplicite dichiarazioni di Esterni, il gruppo milanese che da tempo promuove manifestazioni ed eventi per diversi ambiti di cultura, arte e comunicazione. Dateci il telecomando e vi ridaremo la vista, insomma. Così, quello dalla mezzanotte di venerdì 10 alla fine di domenica 12, ha assunto le sembianze di un week-end di astensione dalla tv e riscoperta della città. Una seppur piccola ma comunque esistente parte d’Italia ha deciso infatti di “guardare fuori”, fare qualcosa di altro dal restarsene seduti davanti ad uno schermo: scendere in strada. Un totale di quasi un milione di non-telespetatori, stando alle prime stime di uno sciopero reso possibile da importanti sostenitori: l’Osservatorio sui Diritti dei Minori, Slow Food , Il manifesto, Radio2 - la Tv che balla…per citarne alcuni.

Le città aderenti all’iniziativa hanno appoggiato l’idea di offrire agli scioperanti valide alternative alla visione del piccolo schermo. A quanto pare 200 cinema, 130 teatri e 100 musei hanno offerto biglietti ridotti; 450 tra negozi, bar, ristoranti e locali hanno riservato sconti ed omaggi; 3000 famiglie hanno dichiarato la loro adesione, tra le quali 3 famiglie auditel; 45 amministrazioni pubbliche hanno sostenuto lo sciopero con iniziative proprie. Inoltre per il prossimo sciopero nazionale, già fissato per luglio, si potrà probabilmente contare sull'adesione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Certo l’obiettivo ultimo del progetto, quello di sfiorare il milione e mezzo di telespettatori coinvolti, non è stato raggiunto. Ma il Syndacato dei Telespettatori non sembra abbattersi, peccando forse di presunzione nel puntare al raggiungimento di 15 milioni di telespettatori sottratti nel 2006 e nel parlare addirittura di una giornata mondiale senza televisione, da organizzare da qui a qualche anno. Una sfida aperta al mito dell’Auditel, quasi omeopatica nel rispondere numeri ai numeri.

Intanto si commenta il tutto cercando di delineare l’intento che spinge gli ideatori e i sostenitori dello sciopero a realizzarlo. Non ci si vorrebbe schierare in alcuna polemica, né entrare in merito di palinsesti televisivi. Solo invitare i cittadini a dedicare lo spazio-tempo che generalmente regalano alla televisione, ad attività socializzanti e culturali evitando l’atteggiamento passivo nei confronti della tv, il suo potere devastante e l’effetto-alone su altri media”. Parola di Syndacato. Dimostrare cosa? Che il potere della tv non è inattaccabile, che la scatola nera potrebbe vacillare da un momento all’altro.


Bello. Eppure qualcosa non ci quadra, e irriverenti perplessità riaffiorano.
E se questi obiettivi numerici raggiunti un giorno di un anno non lontano dimostrassero che la tv non è onnipotente, cosa succederebbe il giorno dopo? Probabilmente quello che è sempre successo: la gente continuerebbe a guardare la tv nelle pause quotidiane, prima di dormire, qualsiasi cosa ci sia in tv. Le abitudini sociali ci dicono questo, indipendentemente dal caso particolare di una giornata in cui teatri e cinema decidono di offrirci un biglietto ridotto. Gli abiti antropologici di un’epoca non sono mai stati cancellati intenzionalmente, il processo non è controllabile in modo capillare.

Che la televisione di oggi sia il nulla più totale, siamo in molti a crederlo, ben più di un milione di persone. Ma in questo caso il Syndacato parla di “attendere un gesto di autocritica o auto-sospensione da parte di autori, giornalisti e conduttori di programmi televisivi” , di “messaggi in sovrimpressione, nel corso delle trasmissioni, che avvertono della dannosità del mezzo” o addirittura di “luoghi privilegiati per non tele-vedenti”! Provvedimenti che riportati alla realtà, finirebbero inevitabilmente per sfociare in evidenti paradossi.

La tv non è un pacchetto di sigarette, né si può avere la pretesa che i fatti si risolvano attraverso schematicità dicotomiche come potrebbe essere quella di concepire la società in un’ottica di telespettatori/non-telespettatori. Insomma, pur riconoscendo l’appellativo di “Ladra di tempo e serva infedele” che Condry aveva dato alla tv, non vorremmo trovarci nell’inverosimile situazione di un’emancipazione dei non-telespettatori. Semplicemente perché non esistono non-telespettatori. La realtà è assai più complessa. E forse siamo solo all’inizio di una rivoluzione ancora tutta da costruire…


(15/12/2004)