"CAPISCO IL TUO DOLORE"… ANCHE LA SCIENZA LO AMMETTE!
Una ricerca britannica ha dimostrato che condividiamo realmente il dolore delle persone amate
di Daniel Tarozzi
Un uomo riceve una telefonata nel pieno della notte da un suo caro amico che sta piangendo disperato. La moglie, dopo otto anni di matrimonio, lo ha piantato ed è fuggita con l’amante. A questo punto, dalle labbra dell’uomo, quasi inconsciamente, partiranno quattro parole: capisco il tuo dolore.

I lettori più cinici e disincantati forse avranno già storto il naso, pensando che il nostro amico, svegliato nel pieno della notte, abbia recitato solo parole di cortesia, mentre i suoi pensieri correvano al sonno perso e al lavoro che lo aspetta a poche ore di distanza. Secondo una ricerca condotta dagli studiosi dell’University College di Londra, invece, se tra i due uomini c’è autentico affetto, il dolore è reale e lo spettro dell’ipocrisia scacciato. Ancora una volta, quindi, la scienza moderna dimostra, conferma e ufficializza, la conoscenza popolare.

I ricercatori britannici, guidati da Tania Singer, hanno preso in esame sedici coppie di fidanzati cui sono state inferte una serie di scosse elettriche di diversa intensità. Il cervello dei soggetti di sesso femminile veniva analizzato attraverso delle risonanze magnetiche. Si è scoperto che il dolore provato sulla propria pelle e quello immaginato sulla pelle del compagno attivano le stesse regioni celebrali: quelle che sappiamo esser legate alla sensazione del dolore. In altre parole, le “pazienti” sentivano fisicamente il dolore provato dai loro fidanzati. I ricercatori hanno quindi dedotto che la componente sensoriale e quella emotiva sono strettamente interrelate.

La componente affettiva sembra essere fondamentale. Si è visto, infatti, che le relazioni maggiori si avevano nel caso di “scosse” inferte ai propri partner, mentre negli altri casi non si attivavano i circuiti cerebrali che portavano a provare fisicamente lo stesso dolore. Secondo i ricercatori l’empatia avrebbe una doppia funzione di sopravvivenza: legare le persone, in particolar modo le madri e i figli, e sviluppare l’abilità di capire in anticipo se il dolore degli altri può diventare una minaccia.


Durante gli esperimenti, le donne sapevano in anticipo, grazie ad un indicatore, sia l’intensità della scossa successiva, sia il soggetto cui questa sarebbe stata indirizzata.
Questa componente dell’esperimento si è rivelata fondamentale. I ricercatori, infatti, hanno osservato che l’anticipazione del dolore influenza profondamente la percezione del dolore stesso.

«Non si tratta di semplice contagio emozionale» spiega Tania Singer «ma di un’anticipazione nelle stesse aree del cervello del dolore altrui». Compiere un’azione e immaginare di compierla, quindi, attivano almeno in parte le stesse aree cerebrali. Sapere che si proverà dolore provoca di per sé dolore.

Questo studio apre le porte ad una serie di ipotesi formulate più volte nei secoli, ma che per la prima volta potrebbero poggiare su basi scientifiche. Se si può provare empatia per una persona amata la si può provare anche per la propria specie. È solo una questione di percezione dell’altro. Da sempre, una delle prime regole impartite ai militari è la de-umanizzazione dell’avversario. Perché un uomo ne possa uccidere un altro è fondamentale, infatti, che lo percepisca come “altro” da sé. Ed ecco i “musi gialli” nella guerra col Giappone, i “negri” ai tempi del colonialismo e della schiavitù, fino alla quotidiana demonizzazione degli arabi e in particolar modo dei “musulmani” presentati dalla maggior parte dei mass media come una serie di automi che pensano, vivono e agiscono allo stesso modo, privi di una vera individualità.

Il concetto fu ben espresso dalla celebre canzone di Fabrizio de Andrè, “La guerra di Piero”. Nel momento in cui Piero vede il nemico come un uomo che «aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore», si blocca, non spara. L’attimo di esitazione gli è fatale. Il nemico non empatizza con lui e, senza indugio, lo uccide.
La dimostrazione scientifica dell’empatia, quindi, potrebbe essere la base su cui costruire un mondo in cui la pace tra i popoli non si basi su pietismo o ipocrisie di sorta, bensì su una vera, profonda, innata compartecipazione, un mondo in cui tutti gli uomini e le donne “sentano” come propri il dolore e le gioie altrui.

Un concetto che ai più cinici potrà apparire banale, utopico e “smielato”. Ma, del resto, quegli stessi cinici diffidavano delle parole del nostro amico svegliato nel sonno. La ricerca di Tania Singer li ha zittiti.


(09/06/2006)