Le terme (dal gr. thermà) – distinte inizialmente per gli uomini e le donne – fecero la loro prima comparsa a Roma nel II secolo a.C. In breve tempo aumentarono vertiginosamente, tale fu l’entusiastico consenso dei Romani che, gettata all’aria quell’austerità repubblicana che impediva a Catone il Censore di fare il bagno in presenza del figlio, gettarono all’aria anche i vestiti per tuffarsi in allegra compagnia nelle pubbliche vasche.
Questi edifici non comprendevano esclusivamente sale da bagno calde o fredde, piscine comuni o vasche individuali, bensì anche saune, palestre, stadi, locali per il massaggio, giardini e passeggiate, sale da riposo, biblioteche e musei. Insomma, un compendio di tutte quelle attività che dovevano contribuire a mantenere nei Romani una mens sana in corpore sano.
Il biglietto d’ingresso aveva un costo minimo, mentre i ragazzi ne erano esentati del tutto. Questo faceva sì che patrizi e plebei, nobili matrone e povere casalinghe della Subura prendessero il bagno tutti insieme, accumunati dall’ineffabile piacere di sguazzare nudi e beati nelle fresche acque termali.
La differenza di classe e di ceto, però, non mancava di farsi sentire quando chi si recava alle terme si “tirava dietro” un nutrito gruppetto di schiavi che avevano il compito di assistere il domine o la domina (il “padrone” o la “padrona”) in tutte quelle incombenze (asciugare, massaggiare, ungere, strofinare, profumare...) che i Romani trovavano faticoso fare da soli. Chi non si portava gli schiavi poteva ricorrere al personale delle terme che, però, si prestava solo a caro prezzo.
Così si racconta che l’imperatore Adriano, un giorno, vide nelle terme un suo vecchio veterano sfregarsi la schiena sul muro del caldarium (il bagno caldo). Interrogato dall’imperatore sul motivo di tale curioso strofinarsi, l’anziano soldato rispose che, poiché non aveva né soldi né schiavi, era costretto a frizionarsi da solo nell’unico modo possibile. Intenerito, Adriano procurò subito, al vecchio, schiavi e denaro. In breve, la notizia fece il giro di Roma e quando, l’indomani, l’imperatore arrivò alle terme trovò una nutrita frotta di arzilli vecchietti che si strofinavano vigorosamente sui marmi del bagno, certi di ricevere le stesse attenzioni mostrate dal buon imperatore il giorno prima. Adriano, però, era buono ma non farlocco e, maliziosamente, consigliò ai furbetti di strofinarsi l’un l’altro. Sembra che da quel giorno il frizionarsi a vicenda divenne in breve uno dei passatempi alla moda nelle terme...
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Nel tempo, ogni distinzione fra i bagni per gli uomini e quelli per le donne venne a cessare e ancora al tempo di Adriano (117-138) nessun divieto impediva alle donne di fare il bagno insieme agli uomini. Ben presto, però, scandali e prostituzione dilagarono nelle terme e Adriano si vide costretto a dividere i bagni secondo il sesso; poiché la struttura termale non era stata concepita per una tale suddivisione, la separazione avvenne non negli spazi, ma nel tempo: furono, infatti, imposte diverse fasce orarie d’accesso ai bagni per uomini e donne.
Sembra però che tale accorgimento non servì a molto e le prostitute continuarono tranquillamente a svolgere il loro lavoro, accompagnate dal brioso zampillare delle fontanelle nelle terme e dall’allettante tintinnio delle monetine nelle tasche dei protettori e nelle casse dell’Impero.
L’inclinazione dei Romani a frequentare le terme pare sia durata nei secoli, persino in quelli “bui” e, infatti, sfatando la credenza comune che vuole il Medio Evo un’epoca di scarsa pulizia della persona, risulta, invece, dalle cronache dell’epoca, che la pratica del bagno era comune e diffusa, anche se abitualmente associata al cibo raffinato ed al sesso galeotto...
Non a caso, ancora negli ultimi secoli del Medio Evo, le città italiane in generale, e Roma in particolare, ospitavano numerose stufe, ovvero bagni pubblici aperti al pubblico e situati al piano terra delle abitazioni delle famiglie più facoltose per le quali il balneum costituiva una cospicua fonte di reddito.
Luogo d’incontro e di socializzazione, adatto per mangiare, bere e giocare in tutta tranquillità, la stufa era soprattutto il posto giusto per la pratica del sesso illecito, frequentato dallo stesso clero in spensierata promiscuità con rispettabili borghesi e ruffiani, ricchi mercanti, prostitute e madri di famiglia.
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