RICCHI DI SOLDI, MA POVERI DI GIOIE
I soldi non fanno la felicità. Lo dicono anche gli economisiti! Superata una certa soglia, all’aumentare del reddito non aumenta la soddisfazione percepita. Un altro detto popolare confermato dalle moderne ricerche. Ma noi sembriamo non recepire. E se la smettessimo di inseguire falsi miti? E se cominciassimo a vivere veramente?
di Daniel Tarozzi
I soldi non fanno la felicità. Quanto è retorica questa affermazione. Quanti film, quanti nonni, quanti religiosi, ci hanno sempre esortato a non pensare al vile denaro. Eppure noi non li abbiamo ascoltati e spesso abbiamo dedicato la nostra vita a raggiungere un solo obiettivo: la ricchezza.

Beato lui!, ci diciamo quando pensiamo a un attore famoso.
Con tutto quello che guadagna si lamenta pure!
Esclamiamo schifati, di fronte a un calciatore infelice.
Queste affermazioni dimostrano come dentro di noi la convinzione che la ricchezza generi felicità sia molto più radicata di quanto vorremmo far credere.

Ecco perché i risultati della ricerca effettuata dai ricercatori della Cornell University of New York “fanno notizia”. I soldi non fanno la felicità. Ma per davvero. Superata una certa soglia, all’aumentare del reddito non aumenta proporzionalmente la soddisfazione del soggetto. La ricerca fa scalpore soprattutto perché a trarre queste conclusioni sono stati un gruppo di economisti...

Negli ultimi 50 anni, fanno notare i ricercatori, il reddito medio di un europeo è più che triplicato, mentre la media della soddisfazione è rimasta stabile. La nuova macchina, il terzo televisore e il quinto telefonino, insomma, non soddisferebbero appieno le nostre aspettative.

Ma soffermiamoci un attimo su un dato: negli ultimi 50 anni il reddito medio è più che triplicato. E come mai allora noi siamo sempre in “crisi”? Come mai i nostri nonni ci raccontano che ai loro tempi non avevano niente, “ma come si gustavano quel poco che avevano!” E se i ricercatori avessero ragione?

Ma andiamo avanti. La ricerca affronta anche l’aumento di ricchezza di un paese povero. Quando questa comincia ad aumentare, la soddisfazione dei suoi abitanti aumenta con essa. Quando però si sono soddisfatti i bisogni primari, ad un aumento del reddito percepito non corrisponde più un proporzionale aumento del benessere individuale. In particolare questa soglia sarebbe di circa 8000 euro all’anno.

Certo queste ricerche lasciano il tempo che trovano e spesso gli indicatori di felicità sono strumenti impropri, se non addirittura imbarazzanti. Inoltre, con 8000 euro all’anno difficilmente si vide sereni in una città europea come Londra o Milano. Ma forse si tratta semplicemente di spostare questa soglia di qualche migliaio di euro. Forse, una volta pagate le bollette e le tasse con serenità e raggiunta la possibilità di pagare gli studi ai figli, andare a cena fuori e permettersi un Week End in campagna ogni tanto, sono veramente altri i fattori che influenzano la nostra vita.

Gli anziani di tutto il mondo ci dicono da sempre: “quando c’è la salute c’è tutto”! Qualcuno controbatteva: se non mi posso pagare le medicine, addio salute! Ecco forse il punto di equilibrio è questo. Un reddito che ci permetta di mantenere una buona salute fisica, mentale e spirituale.


Tornando alla ricerca, i risultati dimostrano che è più influente il reddito relativo che quello assoluto sulle nostre emozioni. Avere soldi renderebbe quindi le persone felici fino a quando quelle che le circondano non iniziano a guadagnare di più.

Questo concetto fu ben espresso da un celebre monologo e da una canzone di Giorgio Gaber, “il pelo” e “l’ingranaggio” (1972, Dialogo tra un impiegato e un non so). Il mai-abbastanza-compianto artista milanese riuscì a rappresentare in modo esemplare il bisogno di un individuo di avere sempre qualcosa più degli altri. Anche solo un pelo in più. Ed ecco, che questo individuo si trova schiacciato in un pauroso ingranaggio che lo spinge ad andare avanti, sempre di più e non fermarsi mai.

“Non è che mi manchi la voglia o mi manchi il coraggio” cantava il Grigio, “è che ormai sono dentro, nell’ingranaggio”…

Ecco che il mito della ricchezza si svela per quello che è: un pauroso leviatano che tutto pervade e che riduce la libertà e la soddisfazione umana a cifre quotate in borsa. Con buona pace dei miti della nostra era, del trionfo del moderno sistema sociale ed economico e del sogno americano.

I ricercatoti sfiorano di nuovo la retorica dei nostri nonni, quando ci dicono che “l’importante è prendersi un po’ di tempo per se stessi e per i propri cari, fare delle belle vacanze, avere delle relazioni sociali soddisfacenti”. Ma quanto hanno ragione!

Questo non significa che a volte i soldi non diano delle belle soddisfazioni. Quel bel computer che ci piace tanto o quella camicetta che ci fa impazzire, o quel viaggio che da anni ci sogniamo, possono darci dei bei piaceri goduriosi. Ma se, e solo se, il denaro resta uno strumento e non diventa un fine.


(01/09/2005)