TITOLO ORIGINALE: Il nascondiglio
REGIA: Pupi Avati
CON: Laura Morante, Rita Tushingham, Burt Young, Treat Williams, Yvonne Sciò, Peter Soderberg, Giovanni Lombardo Radice, Angela Pagano, Sydne Rome, Angela Goodwin
ITALIA/USA 2007
DURATA: 100 minuti
GENERE: thriller
VOTO: 5,5
DATA DI USCITA: 16/11/2007
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Dopo essere stata quindici anni in una clinica psichiatrica per una malattia mentale, una donna italiana decide di ricominciare la sua vita quotidiana a Davemport, nello stato americano dello Iowa. Viste le buone condizioni d’affitto, si stabilisce a Snakes Hall, tetro edificio in cima ad un colle, intenzionata ad avviarci un ristorante italiano. Spesso, però, la donna viene svegliata nel cuore della notte da una indistinta voce stridula. Così decide di indagare sulla casa e scopre che questa, decenni prima, fu un gerotrofio che avrebbe dovuto essere abbattuto dopo alcuni omicidi avvenutici dentro.
Quest’ultima fatica di Pupi Avati è indicativa dei limiti del regista bolognese. Limiti sostanziali, non necessariamente legati ad un genere cinematografico da lui tanto amato, come l’horror, e del quale, anzi, è uno dei migliori artigiani del cinema italiano. Mediocrità artistica di genere visivo che, invece di parlare per immagini, fa quasi sempre leva sul filmare la sequenza nella maniera più fedele ad una lineare sceneggiatura, assoggettandola pedissequamente alla causalità narrativa della pagina scritta.
Rendendo le immagini quasi subalterne ai dialoghi ed alle voci narranti, peccando, quindi, di blasfemia, per i fedeli -o meglio gli iniziati, vista l’anagrafe e la distanza con quel periodo d’oro- del segreto del grande silenzio cinematografico. Ma andiamo nello specifico di questo thriller orrorifico girato nel midwest americano. Tutto è costruito come se si trattasse di un horror soprannaturale, genere nel quale probabilmente Avati ha dato il meglio – basti pensare a e Zeder- e dove riesce a mettere il suo mestiere registico al servizio di un’intensità emotiva già scontata.
La protagonista ambigua, con pregressi problemi mentali, che potrebbe non saper dividere i propri fantasmi interiori dal mondo esteriore che la circonda. Una mastodontica casa in legno, di inizio novecento, vecchia dimora su una collina, isolata dal resto del paese. Una costruzione che ha avuto diverse gestioni nel corso della sua annosa utilizzazione, alcune delle quali nascondono dei fatti di sangue mai definitivamente chiariti.
I suoi grandi spazi sgombri all’interno, che lasciano affiorare, di tanto in tanto, vecchi oggetti appartenenti ad un altro tempo domestico; le scricchiolanti scale di legno con le ringhiere intarsiate dove le ombre si infittiscono fino al buio intenso del primo piano. Tutto questo e gli strani rumori che rompono i silenzi notturni fanno venire alla mente uno splendido film degli anni sessanta, Gli Invasati di Robert Wise, dove le cause di tutti i sospetti paranormali rimanevano in sospeso tra la psiche disturbata degli abitanti della villa e l’acclarata presenza di spettri.
Qui invece, ed è questo lo spunto narrativo interessante, il discorso viene spostato su una macabra e repellente immanenza che si aggira negli interstizi delle mura della casa. Una fetida recrudescenza delle terribili vicende che ebbero luogo in quel posto. Una linea di confine tra il nostro mondo e quello dei morti, mantenuta volutamente ambigua dall’inspiegabilità di non essere percepita da nessuno, al di fuori della protagonista. Almeno fino alle ultime drammatiche sequenze e all’ultima, dirimente, immagine. Ma tutto questo non basta per salvare il film.
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