Dopo l’apertura di ieri, con l’applauso unanime dei partecipanti all’ultima arrivata nel gruppo, l’Australia, prosegue ora il vertice mondiale sui cambiamenti climatici.
Quella del neo premier australiano di aderire al protocollo di Kyoto e alla conferenza internazionale è una decisione importante, soprattutto se si considera l’alta percentuale di emissione di gas metano della “terra dei canguri”, dovuta al numero elevatissimo di allevamenti di bestiame.
Efficienza energetica, limiti di emissione di CO2, nucleare: questi alcuni dei temi in primo piano al summit nell’isola indonesiana in cui, fino al 14 dicembre, un esercito di quasi duecento stati cercherà di elaborare un nuovo piano d’attacco per distruggere i nemici del pianeta, fra cui, in prima linea, i gas serra. Questi ultimi infatti sono responsabili del riscaldamento globale e impegno primario della conferenza è proprio quello di trovare un’intesa per evitare l’aumento della temperatura terrestre.
Il protocollo di Kyoto aveva sancito l’impegno degli stati firmatari a ridurre le emissioni di gas serra del 5%. Un passo importante questo, testimonianza della presa di coscienza della gravità del problema, anche se la percentuale accordata non può essere sufficiente per far fronte alla situazione. Consapevole di ciò, il Parlamento Europeo ha chiesto adesso a tutti i paesi industrializzati il taglio del 50% di questo tipo di gas entro il 2050.
Secondo gli scienziati le emissioni dovrebbero essere ridotte addirittura dell’80%, mentre Mario Tozzi (geologo, ricercatore del Cnr e divulgatore scientifico in televisione) considera il male del pianeta ad uno stadio talmente avanzato che anche azzerando oggi le emissioni di gas CO2 tra mezzo secolo le condizioni della Terra non sarebbero migliori. Ciò che è certo, comunque, è che le conseguenze di un ulteriore aumento della concentrazione di CO2 (o una mancata diminuzione di questi) sarebbero disastrose. A questo punto ci si chiede se l’eliminazione di tali sostanze sia possibile o se, al contrario, si tratti soltanto di un’utopia.
A tal proposito, perfettamente in concomitanza con l’inizio della conferenza vedono la luce i risultati di una ricerca realizzata dal Global Action Plan, organizzazione ambientalista inglese: i computer costituiscono un ulteriore pericolo per l’ambiente in quanto responsabili del 2% di emissioni annue di anidride carbonica.
A distanza di qualche anno dalla ratifica del protocollo di Kyoto sembrerebbe che effettivamente alcuni stati abbiano mantenuto l’impegno (fra questi la Germania) mentre nel caso di altri paesi la situazione appare controversa.
L’Italia, ad esempio, pur avendo appoggiato le decisioni del trattato, è tuttora responsabile di circa il 14% delle emissioni di CO2 in Europa, anche se Gianni Piatti, sottosegretario all’Ambiente, oggi, in partenza per Bali ha affermato di essere consapevole di aver avviato una forte azione di riduzione di tali sostanze.
Questione cruciale a Bali è poi rappresentata dai paesi che non hanno aderito al trattato del ’97, ovvero Stati Uniti (dove nel 2001 il presidente George Bush respinse il protocollo), India e Cina. La mancata adesione da parte di questi paesi, e degli Stati Uniti in particolare, è un dato di fatto assolutamente negativo:
”i paesi sviluppati devono dare il buon esempio visto che quelli in via di sviluppo si trovano, allo stesso tempo, a combattere la povertà”, afferma Yvo de Boer, segretario esecutivo del summit. Sarebbe quindi auspicabile che ad impegnarsi fossero tutti gli stati industrializzati e quelli governati da Bush rappresentano, in tal senso, un vero e proprio gigante.
Al secondo giorno di conferenza è impossibile tirare le somme e qualsiasi previsione, catastrofica o no, sarebbe prematura. Nel giro di queste 48 ore i “grandi” hanno comunque raggiunto alcuni risultati: un accordo per designare un gruppo di lavoro che nei prossimi giorni metterà a punto un calendario biennale di trattative per includere Stati Uniti, Cina e India nell’impegno contro il surriscaldamento della Terra e la concessione di poteri ad un organo della Convenzione che avrà il compito di esaminare i possibili strumenti per aumentare il trasferimento dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo di tecnologie a tutela dell’ambiente.
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