IL DOLORE DEL PARTO
QUESTIONE DI TECNICA

Respirare non è solo una necessità fisiologica per vivere, ma anche un modo per affrontare il momento più impegnativo della gravidanza - il parto - con la giusta calma.
di Azzurra De Paola
Respirare, inspirare, possibilmente gonfiando la pancia quando l'aria entra e sgonfiarla quando l'aria esce, questo al fine di visualizzare mentalmente l'immagine dell'aria che entra nella pancia, la riempie e poi la svuota, la libera, portando con sé il dolore o l'ansia; fare ricorso a queste tecniche di respirazione aiuta, non solo il fisico a sopportare meglio il dolore del travaglio, ma anche a tenere la mente impegnata e quindi scacciare l'ansia. Un travaglio dura dalle sei alle dieci ore, in media, e bisogna cercare di non focalizzare l'attenzione esclusivamente sul dolore della dilatazione per evitare che questo si acutizzi: è perciò consigliato chiudere gli occhi e visualizzare immagini positive (il nascituro, colori rilassanti, paesaggi) ed inspirare queste immagini per poi buttar fuori con l'espirazione il dolore, l'impazienza, la paura.

Il parto fa male, nessuno potrà mai convincere le donne del contrario, ma qualora si sia deciso di affrontare un parto naturale sarà bene non arrivare dopo le dure ore del travaglio in uno stato di debolezza fisica eccessiva, oltre che mentalmente provate: sono in circolazione nuove tecniche di canto per alleviare i dolori e, per quanto banale possa sembrare, è vero che concentrarsi su pensieri altri rispetto al male e distendere i muscoli del corpo sarà sicuramente d'aiuto; istintivamente, in presenza del dolore, ci si chiude su se stessi come per fuggirlo, per farci piccoli piccoli davanti a qualcosa che non riusciamo a gestire. Sotto parto bisogna fare il contrario per lasciare tutto lo spazio al bambino per nascere. La tensione muscolare non solo è controproducente a livello fisico, nel senso che i muscoli devono stendersi il più possibile ed essere come elastici per far sì che il parto sia più facile possibile, ma anche psicologicamente chiudersi invece di aprirsi vuol dire ostacolare mentalmente la nascita, vuol dire cercare di impedirla.

E i papà? Anche per loro è tutta una questione di tecnica: hanno il dovere di ricordare alla loro partner che deve eseguire respiri profondi, rilassarsi nelle pause tra una contrazione e l'altra, pensare all'arrivo del bambino, al momento in cui lo stringeranno. Anche il padre soffrirà (in misura ridottissima) in quel momento e sarà in ansia nel vedere la sua compagna sfinita e quasi sul punto di arrendersi, a volte. Ma la loro presenza è un dono prezioso e può essere un supporto psicologico validissimo per non abbandonarsi al dolore ma assecondarlo, lasciarlo scorrere finché non ci conduca a quell'istante - il primo- in cui il bambino aprirà gli occhi al mondo.


(19/11/2007)