Una domenica passata in giro… torno a casa, accendo la televisione e tutte le reti parlano all’unisono di un ragazzo, un tifoso laziale rimasto ucciso. Subito immagino una rissa da stadio, dai contorni simili a quelli degli scontri di Catania di circa un anno fa. Invece no, mi sbagliavo, Gabriele non si trovava allo stadio, Gabriele era dentro un’ auto ferma in un autogrill. Ma allora com’è successo? Cosa c’entra il calcio? Perché questo ragazzo ha perso la vita? Non capisco ancora, continuo a passare freneticamente da un canale all’altro cercando una spiegazione logica a ciò che è accaduto: bastano pochi secondi per rendermi conto che la ricerca è vana e una spiegazione logica non può esistere.
Inizio a sentire di “tragico incidente” e dagli stralci di notizie che via via apprendo costruisco nella mia mente la dinamica di un “tragico incidente”, così insistono nel definirlo, dalla dinamica quasi surreale. Nonostante l’oscurità che l’avvolge, adesso nella mia testa l’immagine è più nitida: una grande autostrada, da un lato un autogrill, alcune macchine e la sua, quella di Gabriele con i suoi amici.
Il ragazzo e gli altri passeggeri dell’auto discutono con alcuni tifosi, a dire il vero non so bene di quale squadra e poco mi importa, poi vedo l’altro lato dell’autostrada, un agente della stradale, una pistola, sento un colpo, un proiettile è adesso in aria, oltrepassa le corsie, infrange il vetro della macchina in cui è seduto Gabriele e… Gabriele non c’è più.
Surreale, ancora una volta penso a questo termine, surreale immaginare il percorso fulmineo di quel maledetto proiettile che maledettamente raggiunge proprio quel punto vitale. Nel frattempo sento parlare di disordini e agitazioni conseguenti all’episodio, non riesco ad interessarmene: penso soltanto al “tragico incidente”. In tv dicono che Gabriele aveva un blog su internet: vado alla ricerca del suo mondo virtuale: immediatamente mi rendo conto che quel mondo in rete racconta di una vita reale, viva, intensa, piena, felice. Una miriade di foto, di sorrisi si sovrappongono l’uno all’altro e raccontano di “Gabbo”, dj allegro, pieno di vita e circondato da amici. Quegli amici ora sono lì a scrivere, urlare la loro rabbia e i loro ricordi: “Gabbo ricordo i momenti in cui abbiamo suonato insieme”, “addio gabbo, compagno di fantastiche serate”. E ancora “suona ancora da lassù”, così scrivono amici infranti ed estranei commossi, come a sperare che Gabriele possa ancora vivere la sua passione anche adesso che il “tragico incidente” gli ha tolto il respiro.
In poche ore dalla sua morte il blog del dj romano è diventato un virtuale luogo di culto, un muro che gli amici desiderano tenere in vita per non far morire il ricordo di Gabriele.
Stupore, incredulità: queste le sensazioni dominanti da ieri mattina in quest’atmosfera surreale, ancora una volta. Si muore in un attimo, si muore per niente: un proiettile che segue una fatale traiettoria ha ucciso Gabriele e questa è solo l’ultima di una serie di morti assurde a cui ci siamo tristemente abituati. Mai come negli ultimi tempi ho l’impressione che sempre più persone “normali” vengono uccise per motivi futili, come se futile fosse anche il valore della vita stessa.
Stamattina ho preso la metro: ho visto una ragazza con un giornale in mano, quasi ipnotizzata davanti alla fotografia di Gabriele, anche lei incredula, come me e come tutti. La metro si è fermata alla stazione Termini, ancora pensierosa mi avvicino alla porta d’uscita, distratta dal “tragico incidente” urto qualcuno che si gira bruscamente verso di me. Sto per dire qualcosa ma decido di frenarmi ... non vorrei ritrovarmi un ombrello in un occhio...
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