Chi, almeno una volta nella vita, non si è sentito chiedere ‘cosa porteresti sull’isola deserta’? Qualcuno avrà risposto libri, lettere, indumenti, qualcun altro persone, dischi, pupazzi, oggetti cari. Nessuno, ma proprio nessuno, credo abbia risposto: il sacchetto della spazzatura. Perché, tra le cose che vorremmo ci tenessero sempre compagnia, non ci sono né rifiuti né plastica né cartacce né avanzi organici.
Eppure un’isola piena di cose orribili come queste c’è e si trova nel mezzo dell’Oceano Pacifico, davanti al Giappone. È un’isola di immondizia, creatasi per via delle correnti centripete; un’isola dove gli unici naufraghi sono rifiuti della società. Non sono ex-famosi, né marinai di navi affondate e nemmeno individui solitari alla ricerca del proprio io. Sono rifiuti nel senso vero e proprio, i nostri resti, le cose che non riusciamo a riciclare, che abbandoniamo in mare e le maree trascinano per uno strano destino in questo punto della superficie oceanica.
La zona, una specie di piccolo deserto marino, è largo due chilometri e mezzo e profondo 30: è composto per l’80% di plastica e per il resto da rifiuti di vario genere. L’isola pesa 3 milioni di tonnellate. Il flusso delle maree, a partire dagli anni ’50, ha cominciato lentamente a veicolare immondizie in questa zona generando una specie di territorio galleggiante artificiale in cui convergono i rifiuti. Qualche volta, purtroppo, questi materiali finiscono al di fuori della corrente e raggiungono le coste delle Hawaii e quelle californiane; altre volte la quantità di plastica è tale che deve essere prelevata e portata via dall’intervento umano; altre ancora finisce sui fondali marini alterandone l’ambiente oppure si sgretola e finisce nella pancia dei pesci con le conseguenze che ognuno immagina.
Spesso crediamo che alcuni problemi non ci riguardino perché si sviluppano in luoghi molto lontani da noi. E non pensiamo che il mondo è diventato, almeno negli ultimi vent’anni, molto più piccolo. Tutto è vicino e a portata di mano, non solo nel senso positivo della questione (divenendo ogni meta raggiungibile in poche ore e consentendo contatti veloci ad ampie distanze), ma anche per gli aspetti più impegnativi e responsabilizzanti. Se una farfalla batte le ali in Russia –si diceva una volta- in America tremerà la terra. Insomma siamo tutti legati, abbiamo tutti un destino da condividere assieme al pianeta. Ognuna delle nostre piccole azioni quotidiane provoca ripercussioni a vasto raggio. Per cose come un’isola di immondizia dovrebbe gelarsi il sangue a chiunque, dovrebbero perdere il sonno scienziati e ingegneri, dovrebbero investirsi fondi e svilupparsi progetti. Speriamo che qualche voce di protesta aiuti a sentire che la salute dell’ambiente è un interesse, ma soprattutto un bene collettivo.
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