Interpretato dai più grandi attori sulle scene parigine e internazionali, René de Obaldia, nato a Hong Kong nel 1918, è uno scrittore e autore drammatico francese di cui in Italia ben poco si è recitato e quasi nulla è stato pubblicato. I suoi testi sono contraddistinti da un tessuto linguistico particolare, che ama i giochi di parole e di sintassi, e per una componente parodistica, che rompe le convenzioni attraverso un’immancabile ironia nei confronti della vita. In questo caso, ironia nei confronti della morte.
«Faire la grasse matinée» vuol dire alzarsi tardi, ed è quello che ha sempre desiderato Babeth, che al marito scocciatore, in piedi sin dall'alba, aveva gridato: “Non vedo l'ora di morire per potermene stare a poltrire a letto!”. Desiderio esaudito; ma una lunga dormita non le è concessa neppure nel sonno eterno, disturbato dalla ciarliera vicina di bara.
In un cimitero piuttosto desolato, lo scheletro di Babeth (1940-1972), è incastrato in una stretta e scomoda cassa di abete, e mostra ancora tutta l’insofferenza giovanile di moglie frustrata, irrequieta e nervosa, dal linguaggio colorito. Artemisia (1920-1960) è, o meglio era, una ricca borghese, romantica e colta, che gode di una bara di quercia massiccia, spaziosa, imbottita. Più rilassata della prima, sembra ormai godersi la sua vita da morta, sognando treni per Parigi e voli per Tokio.
I rumori dei treni e degli aerei che passano, il gracchiare dei corvi (qualcuno è forse reincarnazione di vecchi amanti) scandiscono infatti le giornate delle due donne, così diverse e in fondo entrambe così sgradevoli. Della più anziana sembra di sentire il fetore di cipria misto a naftalina.
Osservare Babeth e Artemisia stimola un pensiero angoscioso: che cosa succederebbe se, dopo la morte, ci fosse una “vita” in cui i corpi continuano a sgretolarsi, mentre i cervelli rimangono attivi e lucidi?
Due personaggi beckettiani, anime inquiete e inquietanti, che, nonostante tutto, vivono l’attesa di un futuro. E così il tempo passa tra speranze di salvezza (?), ricordi che sono desideri, conversazioni vane, scambi di ricette che non verranno mai cucinate.
Se ne stanno in compagnia, con la giovane altezzosa che mal sopporta la vicina, in questa convivenza forzata ma necessaria per ingannare la routine di un tempo eterno, fino a non poterne più fare a meno, quando un treno (metaforico? salvifico?) si porterà via Artemisia e le separerà per sempre.
E il tempo passa anche per gli spettatori, che vivono con partecipazione il distacco, grazie all’insieme ben funzionante della messa in scena. Trucco, costumi retrò e scenografia decadente - tutto estremamente curato - fanno da perfetta cornice alla ottima recitazione delle due giovani attrici.
Cristina Rocchetti e Sara Tosti, entrambe diplomate al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, messe alla prova dalle insidie di un testo non facile, danno vita ad un’interpretazione convincente, vivace e concentrata, abilità doppiamente pregevole quando si recita immobili dentro a una bara e si hanno gli occhi del pubblico puntati addosso dal primo all’ultimo minuto in scena.
È bello assistere, magari grazie a un passaparola, a piccoli-grandi spettacoli di questo genere, che arricchiscono, fanno riflettere, divertire, emozionare e che confermano la validità di un sottobosco di giovani teatranti da tenere d’occhio negli anni a venire.
Spero, cari spettatori, che apprezzerete le conversazioni postume delle mie due vicine di bar a- ¬ non è vietato riderne - che mostrano addirittura di godersi la "vita"!
René de Obaldia
Grasse Matinée
27 settembre -1 ottobre, ore 21.30
Museo della Rocca, Porto di Civitavecchia
Ingresso gratuito
con Cristina Rocchetti e Sara Tosti
regia di Massimo Curci
scenografia di Simona Uzzo
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