GLI AMORI DI ASTREA E CELADON
TITOLO ORIGINALE: Les amours d’Astrée et de Céladon REGIA: Eric Rohmer CON: Andy Gillet, Stéphanie Crayencour, Véronique Reymond, Rosette, Jocelyn Quivrin, Mathilde Mosnier FRANCIA 2007 DURATA: 109 minuti GENERE: drammatico VOTO: 7,5 DATA DI USCITA: 01/09/2007
di Simone Destrero
Gallia. Montagne dell’Auvergne. V secolo. Astrea e Celadon sono due pastori che si amano reciprocamente e si sono scambiati eterna fedeltà. Un disonesto pretendente sentimentale, però, fa credere ad Astrea che il giovane lo tradisca con altre ragazze. Astrea cade nella gelosia quando equivoca il comportamento di Celadon durante una festa e gli chiede di non farsi più vedere. Il ragazzo, disperato, si getta nel fiume per darsi la morte, ma viene salvato e accudito da alcune ninfe, una delle quali si innamora di lui. Ora comincia il percorso di Celadon per tornare vicino all’amata Astrea, la quale intanto si è accorta del terribile errore che ha commesso.


L’ultimo film di Eric Rohmer è una pura dissertazione sull’amore. Tratto dal romanzo in versi L’astrèe, scritto nel XVII secolo da Honerè d’Urfè, Gli amori di Astrea e Celadon è in concorso all’ultima edizione del festival del cinema di Venezia. La tormentata storia d’amor cortese fra i due pastori, protagonisti del film, è altresì un mezzo per poter depurare un sentimento nobile come l’amore dalle scorie e dalle volgarità con cui viene sporcato ai nostri giorni. Per rafforzare questa astrazione, e poter dissertare dunque sull’essenza di questo sentimento, Rohmer lavora sulla trasposizione filmica di un testo letterario che non solo decontestualizza diacronicamente il tempo della storia raccontata, arretrata di almeno dieci secoli dal periodo in cui d’Urfè la scrisse, ma lo sposta anche sincronicamente; la didascalia all’inizio del film, infatti, ci informa che questi villaggi pastorali della Gallia del V secolo non sono stati ancora contaminati dalla civiltà romana.

Si è quindi lontani, oltre che dall’appiattimento sentimentale contemporaneo, anche dall’omogeneizzante cultura progressista dell’epoca, a beneficio di un primordiale contesto dove l’uomo è la manifestazione pensante della natura. Una bucolica dimensione che, ormai, aldilà della precisa datazione secolare, assurge ad alterità leggendaria, ad epoca mitologica, dove è possibile riflettere approfonditamente sul senso delle cose, senza dover incappare nella mediocrità di meschine espressioni utilitaristiche.

Da apprezzare, a proposito, il lavoro di Rohmer sul trattamento dei dialoghi, che mostra come si possa far recitare agli attori enfatiche e forbite dissertazioni amorose, con patetica naturalezza, senza concedere nulla ad un compiacente involgarimento dialettico o ad una moderna ironia d’acchito. Infatti, un grande pregio del film, non nuovo al regista francese, è come dall’inizio delle sequenze si mescolino la leggerezza dei modi alla serietà dei contenuti e come tutto questo si mantenga coerente, fino alla fine del film, con un’intransigenza stilistica che rilutta una facile empatia spettatoriale.

Veramente interessante, verso la metà del film, il confronto dialogico tra un pastore che fa professione di libero amore carnale ed il fratello di Celadon che sostiene come il vero amore voglia nutrirsi solo di sé stesso. Molto sobrie risultano essere la scelta delle inquadrature e la fotografia che pur rifacendosi alle pitture con scenari campestri e paesaggi bucolici evitano il sensazionalismo di immagini da cartolina. Un film d’autore che affascina e seduce come quel mondo semidivino di druidi e ninfe che ne fa parte e che vede l’unico punto debole nel mascheramento del protagonista.

Ad una prima visione, le conseguenze di questo travestimento sembrano una forzatura che -pur evidenziando l’assolutezza del grande amore che trascende le convenzioni sessuali e potendo derivare dalla paura di illudersi nuovamente al cospetto di esso- sembrano smentire l’amore puro di Astrea nei confronti di Celadon, a beneficio dell’idea che ognuno vuole farsi dell’amato.


(10/09/2007)