Era una domenica di pioggia quando il barbone si sistemò nella cabina telefonica sotto il mio portone con la sua sedia da ospedale. Quel giorno l’acqua venne giù fitta e incessante tanto che sembrava non voler smettere più. Il barbone si era portato dei giornali e probabilmente li lesse tutti dalla prima all’ultima pagina durante le dodici ore che trascorse nella sua nuova casa.
La cabina Telecom dovette apparirgli un’abitazione confortevole, dal momento che la elesse a sua residenza stabile anche dopo la fine del temporale.
D’aspetto era proprio il classico barbone, tutto nero e sudicio, capelli ridotti più o meno ad una stoppa incolta e inestricabile, vestiti laceri e odore poco gradevole, tuttavia era sicuramente assai più colto della media e di certo aggiornatissimo, dato che, per le successive quattro settimane, lesse ininterrottamente una quantità sorprendente di quotidiani.
Come facesse a passare tutto quel tempo seduto, senza sentire il bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe, era il quesito che mi assillava, insieme ovviamente ad una gran pena per lui. In verità non sembrava soffrire particolarmente. Era molto metodico: la mattina arrivava verso le sette, si accomodava in poltrona e cominciava a leggere; alle otto di sera si alzava e se ne andava.
Con il passare delle settimane cominciai a preoccuparmi, un po’ per il barbone ormai semi-paralizzato nella cabina, un po’ per l’aria irrespirabile che circondava l’abitacolo, che evidentemente fungeva da monolocale comprensivo di servizi. Così provai a telefonare alla polizia e chiesi se non potesse intervenire per indirizzare il barbone in questione verso un istituto di accoglienza, mettendo fine a quella singolare situazione.
Con quella telefonata mi addentrai nelle sempre sorprendenti turbe mentali che evidentemente affliggono non solo i barboni, ma anche in generale il nostro sistema Paese. Il poliziotto da me interpellato rispose senza minimamente scomporsi: “Signora, se il barbone non commette reato noi non possiamo intevenire, per rimuoverlo deve interpellare la nettezza urbana”. Perché mai far intervenire i netturbini per rimuovere un povero barbone, nessuno può saperlo. Ma, a pensarci bene, occupare una cabina pubblica per trascorrere la giornata e utilizzarla abitualmente come vespasiano non potrebbe rassomigliare ad un reato, almeno uno piccolo piccolo? Tra l’altro il barbone, instancabile divoratore di quotidiani e riviste, continuava ad accumulare la sua documentazione all’interno della cabina stessa, che ormai traboccava di carta.
Comunque decisi di seguire quell’improbabile strada e tentai di contattare l’azienda in questione, ma ovviamente tutti i telefoni rintracciabili squillavano a vuoto. Telefonai allora al Comune, dove un addetto molto sollecito mi fornì il numero segreto dell’azienda municipale per l’ambiente, l’unico evidentemente dove qualcuno rispondeva. E infatti un gentile impiegato mi disse: “Noi possiamo intervenire solo su convocazione dei vigili urbani e in concomitanza con gli addetti dell’ASL, quindi, per favore, contatti la sede della Polizia Municipale a lei più vicina” .
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Cominciai allora a telefonare ai “pizzardoni” di zona, ma anche qui il telefono squillava beatamente senza alcuna risposta. Provai ostinatamente tutti i numeri disponibili in elenco senza successo e anche la carta Comune questa volta non funzionò. L’impiegato comunale però mi assicurò che, passando personalmente, avrei di certo trovato qualche vigile, dal momento che questi hanno l’obbligo di “vigilare” 24 ore su 24.
A quel punto però decisi di lasciar perdere e abbandonare il barbone al suo destino: in fondo se aveva deciso di soggiornare lì perché tentare di spostarlo?
I giorni passavano ed io mi ero ormai abituata a trattenere il fiato per gli ultimi cinquanta metri prima del portone, ormai avvolti da una specie di nube tossica irrespirabile, quando un giorno, con mia grande sorpresa, scoprii che la sedia e i giornali erano spariti, e con essi l’ormai mitico barbone.
Cominciai a sperare che l’avessero accolto in qualche bella casa di cura, dove avesse potuto riscoprire l’ebbrezza di un bel bagno e di un letto pulito, di cure adeguate nonché magari di qualche nuova testata giornalistica da consultare, e mi cullai in questi piacevoli sogni.
Macché. Qualche tempo dopo ho scoperto che il mio amato-odiato barbone si era solo trasferito su una panchina della piazza vicina, secondo il più classico dei clichè, e i giornali che leggeva di giorno di notte diventavano coperte e cuscini.
Povero barbone. Forse ha scelto di vivere così, forse non sta bene. Chissà. Ma io spero ancora in un mondo dove per soccorrere un barbone non debba intervenire la nettezza urbana, ma infermieri e assistenti sociali e dove nessuno si ritrovi a vivere in una cabina telefonica.
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