LA TERRA IN BALLO. LIVE EARTH E DINTORNI
Con il patrocinio di Al Gore è andato in scena due giorni fa il Live Earth, massimo evento ecologista della storia a ritmo di rock e pop. Da New York a Sidney, da Amburgo a Tokyo: otto città di tutti i continenti, hanno ospitato in contemporanea i concerti di molti artisti ai vertici delle classifiche mondiali. Mentre l’ologramma dell’organizzatore visitava a turno gli stadi, per chiedere a ciascuno di fare il proprio per risolvere l’emergenza ambientale. Un allestimento imponente, ma cosa può fare lo show business per il pianeta?
di Stefano Zoja
Sarebbe stato divertente sentire i Nunatak, il gruppo improvvisato in Antartide da due ingegneri, un meteorologo, un biologo e una guida polare, nella base britannica di Rothera. Hanno suonato per i dodici colleghi con cui si trovano a studiare gli effetti del riscaldamento climatico sul settimo continente. Ma niente diretta tv planetaria per loro, niente a che spartire con Madonna, i Red Hot Chili Peppers, o i Metallica, presenti sui palchi del Live Earth in mezzo mondo.

Cantato s’è cantato. E due miliardi di persone, dicono, hanno assistito. Dieci milioni lo hanno fatto attraverso Internet, sul sito di Msn, esclusivista web dell’evento. Gli altri tutti davanti alla tv, a seguire gli otto concerti, cominciati alle 3:10 a Sidney (ora italiana), passando poi da New York, Londra, Amburgo, eccetera, fino a Rio de Janeiro. Era il 07/07/07 e i continenti erano sette, Antartide compresa: tutto era al suo posto.

La promozione della coscienza ecologica dei giovani, secondo il nuovo guru ambientalista Al Gore, passa dalle chitarre. Niente di nuovo sotto le luci dei riflettori. Era già successo nel 1985, per alleviare la carestia in Etiopia (la carestia finì, anche grazie al concerto, ma il paese oggi è al 170° posto nell’Indice di sviluppo umano), e nel 2005 per sensibilizzare gli 8 grandi che stavano per riunirsi (ma il G8 è sempre il G8). Anche a scorrere i nomi delle manifestazioni – “Live Aid”, “Live Eight” e “Live Earth” – qualcosa prude all’orecchio.

Dietrologia se ne può fare parecchia. Al Gore è un ex vicepresidente degli Stati Uniti e fra pochi mesi si correrà per le primarie dei Democratici: lui giura di non volersi candidare ma il temine non è ancora scaduto e la sua popolarità negli ultimi tempi è cresciuta a dismisura. Ma critiche e cattivi pensieri se ne sono sempre fatti, come quando nel 1986, un anno dopo il Live Aid, i Chumbawamba uscirono con il disco Pictures of starving children sell records (più o meno: le immagini dei bambini affamati vendono dischi). Non si fecero molti amici.

Ma più che discutere la purezza delle intenzioni dei protagonisti, che in gran parte si dimostrano davvero convinti, viene da chiedersi quale sia l’incidenza di questi eventi sul surriscaldamento. Due miliardi di spettatori hanno assistito all’evento. Potremmo ritenere un successo se il giorno dopo una metà di loro, abitualmente distratta, avesse riciclato una lattina? O se duecento milioni di persone in più avessero preso il tram anziché la macchina? E una settimana dopo faranno lo stesso?

Gli esiti del Live Earth non si possono misurare. Anche perché non possiamo attenderci seriamente degli effetti di tipo concreto, dall’oggi al domani. La Terra non muterà le sue abitudini dopo un concerto dei Genesis. Il Live Earth dovrebbe (contribuire a) produrre un cambio di mentalità, una qualche persuasione culturale: ciò che conta è che l’immaginario globale lentamente slitti.

E non troppo lentamente, visti gli allarmi degli scienziati ecologisti. E allora ben vengano queste iniziative, sospirano gli esperti dietro le loro carte, ma ciò che serve davvero – e da domani – è proprio il numero di lattine riciclate. O di industrie in regola con le emissioni. E ci vuole davvero la teoria del caos per pensare che la canottierina azzurra di Shakira porterà domani un nuovo filtro su una ciminiera a Shangai.

C’è qualcosa di superstizioso nella speranza che un concerto planetario inverta la tendenza al surriscaldamento della Terra, come succedeva nelle danze della pioggia. Viene da pensare che, per persuadere le persone della serietà della crisi ambientale, siano più tristemente utili eventi come lo tsunami o l’uragano Katrina rispetto ai concerti. E scoraggia che, il giorno dopo il Live Earth, i media si occupino del mancato oscuramento televisivo di una parolaccia di Madonna che incitava il pubblico a saltare.

Ma siccome oggi non sappiamo bene in cosa sperare e siccome, in termini scientifici, manca poco al collasso, va bene tentare anche questa. Se non ci accontentiamo del rock, va bene credere che, forse, qualche ora davanti alla tv smuoverà di un po’ qualche coscienza.
E allora suonino chitarre e batterie, si animino i cantanti, si balli negli stadi. Applausi, bravi tutti, giù il sipario. A Londra, come a Tokyo, come in Antartide. Anche se qui ad applaudire, al massimo, c’erano le foche.


(10/07/2007)