DANILO VIVIANI
DUE PASSI NEL NATURALISMO ASTRATTO

Le foglie morte riprendono vita sotto i pennelli ed i colori di Danilo Viviani. Due passi nel "naturalismo astratto" del giovane pittore ligure
di Paolo Marino
Danilo Viviani, classe 1980, è pittore artisticamente dotato e, per indole personale, incline alle tendenze “naturalistiche” dell’arte figurativa. Diplomato all’Istituto d’Arte di Imperia, nel 2006 ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Genova, ove ha conseguito il titolo con il massimo dei voti.

In una connotazione artistico-storica, il suo personalissimo stile si configura come “tramite” fra arte povera, quindi appartenente al passato, e uno, al contrario sempre attuale, sviluppo contemporaneo del tema della natura. Due sono gli importanti argomenti nei quali si articola il percorso di Viviani pittore.

Il primo, fondamentale per la sua “vis artistica”, è la tenace e costante ricerca di uno stile peculiare e inconfondibile, che si sublima nello sperimentare la modernizzazione e lo sviluppo dell’arte povera e della materia, facendole convergere in un un’unica essenza. La modernizzazione deve essere intesa come la creazione di un nuovo linguaggio originale.

È dato di fatto che negli ambiti artistici non vi siano molti “addetti ai lavori” che utilizzano vegetali per la realizzazione delle loro opere. La ricerca del proprio stile porta infatti ad un percorso del tutto individuale e esclusivo, che diversifica il lavoro da quello già prodotto da altri. Per conseguire un’evidente matericità nelle opere, l’artista si propone di raffinare tutto ciò che si presenta come sostanzialmente grossolano e arbitrario. I due concetti hanno senso in quanto rappresentazione della materia “selvaggia”, della cultura e della tradizione dei popoli “primitivi” e di quante altre associazioni si possano concepire.

Non è un caso che il giovane Viviani si ispiri a grandi pittori quali Alberto Burri e Antoni Tàpies, ovvero a stili ove risalta la combinazione di composizione formale e di processo casuale, a cavallo tra l’arte informale e di pura astrazione e l’arte povera. I suoi dipinti incorporano segni e tracce, evidenze, riduzioni e assemblaggi. La tramatura è talvolta analoga a quella burriana, ma più elastica e irregolare, le superfici non suggeriscono profondità, non impiantano, non fondano, non trattengono in alcun modo l’oggetto, ma si limitano ad appoggiarlo, a lasciarlo scorrere lungo una direzione che è transitoria, come si riscontra talvolta nei lavori di Robert Rauschenberg, altro grande del quale apprezza gli stilemi.


Provocatoriamente lo stile informale e materico, ricercato e adottato da Viviani, può talvolta essere interpretato persino in maniera più decorativa. Si rammenti in merito il passaggio dal Rinascimentale al Barocco, un barocco comunque inteso nell’accezione positiva del termine, idealizzato, decorativo e piacevole nella sua consapevole finzione. Continuando ad analizzare il percorso artistico intrapreso dal giovane pittore non si dimentichi che il binomio pittura-finzione è legato da canoni di assoluta indissolubilità, sia quando si dibatte di pittura, sia quando interviene la nostra fantasia. Se pittura è finzione, perché non fantasticare quindi sulla natura che ci circonda? Se il suo stile quindi dovesse essere qualificato, si tratterebbe probabilmente di “naturalismo astratto”, “materismo surreale” o “informale naturalistico”.

Il secondo momento del percorso artistico di Viviani riguarda la sua affinità con il mondo e la natura, e quindi il suo lato profondamente personale e umano. Egli è affascinato dalle venature delle foglie, che sembrano vene e arterie del corpo umano, e dai labirinti che questi segni creano, forme ramificate e trame ipnotiche.
La natura, tramite i suoi prodotti più fugaci e decorativi, le foglie, viene letteralmente presa dal pittore, fissata e rielaborata in una specie di memoria confusa: è natura incollata, fermata nel tempo come un ricordo, ma un ricordo troppo lontano per essere chiaramente “a fuoco”, natura “fissata” per sempre.

Molto coerente quanto scritto dal critico tedesco Franz Metzger in proposito: “Pittori di tutte le epoche si sono cimentati nel compito di comunicare i propri sentimenti e pensieri nella rappresentazione di ‘vita che è stata di proposito tenuta ferma’ oppure ‘vita che è di per sé ferma’.”

Il tentativo di immobilizzare quello che di più fragile esiste al mondo è un procedimento che affonda nell’infanzia. La natura è un tema spesso ricorrente, così come l’infanzia, ma dalla fusione di entrambi scaturisce una traccia indelebile.

Grazie al suo lavoro Viviani non copia la natura, ma la utilizza per rappresentare con espressività la fugacità del tempo e per fissare sulla tela il ricordo. La difficoltà e la semplicità allo stesso tempo di comunicare una sensazione, si nascondono nel colore e nella sua apparente casualità. La casualità ci è familiare, è quotidiana, appartiene alla vita di tutti i giorni, ma non ci si ferma mai abbastanza a rifletterci.

Le foglie si identificano con l’ineluttabile scorrere del tempo, la sensazione del tempo che fugge col vento. Fermarle è sinonimo di possedere l’ideale della libertà, ma anche della tristezza, poiché significa che queste sono cadute, morte. La perfetta cadenza annuale degli eventi naturali, che si ripetono e si rincorrono gli uni con gli altri, creano una sorta di mantra tra le stagioni. Immortalare la natura sulla tela crea l’illusione di fermare il tempo e i propri ricordi con essa, divenendo noi stessi immortali...


(20/06/2007)