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BREAKFAST ON PLUTO
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TITOLO ORIGINALE: Breakfast on Pluto
REGIA: Neil Jordan
CON: Cillian Murphy, Liam Neeson, Ruth Negga, Laurence Kinlan, Stephen Rea, Brendan Gleeson, Gavin Friday, Eva Birthistle
IRLANDA/GRAN BRETAGNA 2005
DURATA: 135 minuti
GENERE: drammatico
VOTO: 8,5
DATA DI USCITA: 25/05/2007
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di Giancarlo Simone Destrero
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Irlanda. Durante gli anni dell’occupazione militare inglese un neonato, frutto di un amore proibito tra un prete e la sua perpetua, viene affidato alla tabaccaia del paesino in cui viene alla luce. Egli cresce nel bigottismo e nell’intolleranza della sua famiglia adottiva, refrattaria alle sue tendenze sessuali che palesano un’evidente omosessualità e una volontà di travestitismo. Fin quando il giovane Patrick, negli anni settanta, non decide di partire alla volta di Londra, alla ricerca della madre naturale. Questo gli permetterà, non certo facilmente, di trovare la propria dimensione e acquietare i tormenti del proprio passato.
Neil Jordan aggiunge un altro grande film alla sua filmografia così altalenante. Questa volta, forse, toccando l’apice delle sue qualità registiche. E lo fa mettendo in scena un assoluto lirismo personale, facendo trionfare nella narrazione una soggettività talmente insoddisfatta di sé stessa da non potersi far coinvolgere teoricamente dal cammino della storia.
Un individualismo represso che, fattivamente, tende a sopravvivere al proprio mal di vivere. Tutto questo risulta tanto più evidente nella scelta del protagonista e del contesto storico in cui viene raccontata la sua vita. Patrick Brady è un disadattato, un ragazzo nato con il corpo sbagliato, che non può rinunciare alle sue pulsioni identitarie ed è costretto a stare ai margini di una società che non lo accetta. La sua unica via di fuga, almeno durante tutta l’adolescenza, è la sua accentuata - per forza di cose - fantasia.
Volendo fare un amarcord di filmica reminiscenza emotiva Breakfast on Pluto si colloca a metà tra Big Fish – a livello formale - di Tim Burton e Un anno con 13 lune –a livello contenutistico, anche se con molto meno pathos - di Rainer Werner Fassbinder. Ma andiamo per ordine. Il film, tratto da un romanzo di Patrick McCabe, è suddiviso in brevi capitoli narrativi che il protagonista racconta in prima persona. Tutto viene mediato dalla sua fantasia. Paradigmatica è la sequenza in cui egli racconta del suo concepimento. Basandosi su quello che sostanzialmente è accaduto, ovvero su una trasgressione del voto di castità sacerdotale, il ragazzo inventa per un tema scolastico una storia grottescamente erotica – che sembra uscire da un film di Almodovar - che è indicativa delle sue pure capacità immaginifiche.
La narrazione per piccoli capitoli sequenziali cui assistiamo sembra essere la trasposizione filmica della, finalmente riuscita, biografia personale. Patrick, infatti, continua a scrivere, notato da diversi personaggi che lo scambiano per uno scrittore, durante le peripezie della sua materna odissea. Conta poco che la sua ricerca, alla fine, avrà un esito diverso dagli intenti, l’importante è il viaggio e non l’approdo. Ed è durante questo viaggio di riappacificazione con la propria vita e con la propria identità che la sua solitudine sfiorerà i contesti politici, massivi e personali del suo tempo. Dal piccolo paesino irlandese alla questione dell’indipendenza nazionale, che vedrà impegnati alcuni suoi compagni d’infanzia.
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Dal bigottismo provinciale al glamour londinese, dalle vecchie canzoni che ascoltava alla radio alla scena rock degli anni settanta e, infatti, il cameo di Brian Ferry, che interpreta un cliente di Patrick “gattina”, sembra impersonare magistralmente questi due fenomeni sociali così presenti nella swinging London.
Il tutto senza che egli sia mai coinvolto da nessuna ideologia, da nessun comunitarismo, da nessun elemento che debordi il proprio mondo interiore. Come natura l’ha fatto egli si vive e si lascia vivere, in preda agli eventi certo, ma senza presunzione di volontà. Un personaggio di una purezza anomala e di una semplicità solipsistica che possono sembrare inverosimili e dare fastidio, in alcune sequenze. Ovviamente, dopo gli incontri con Hippie astrali, mediocri prestigiatori e cantanti rock, arriverà anche la strada come fonte ultima di sostentamento.
Divertente, anche se meramente antropico, il modo in cui Jordan fa commentare alcuni degli eventi da taluni passerotti. Uno spostamento momentaneo dal commento in voce off del protagonista, che accompagna la struttura lineare drammaturgica del film. Straordinaria la prova attoriale di Cillian Murphy, visto di recente ne Il vento che accarezza l’erba, che sembra essere curiosamente destinato a film che trattano, seppur differentemente, la questione irlandese.
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(12/06/2007)
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