La notizia è una non notizia, o quantomeno ha il peso specifico delle parole: qualche volta preludio di svolte impensate, più spesso semplice esercizio di stile, ancor più in politica. “E’ necessario ridurre i gas serra”, “entro il 2008 metteremo a punto una strategia di lungo termine per contrastare il cambiamento climatico”, “la strada per farlo passa dalla diffusione di nuove tecnologie, dalla ricerca di forme di energia più pulite ed efficienti”, “…da un’agricoltura più sostenibile”.
Pare quasi di sentire Josè Bovè, o almeno Pecoraro Scanio, invece a parlare è stato pochi giorni fa George W. Bush, santo patrono dei petrolieri e dell’efficientismo economico. Sono anni che l’amministrazione repubblicana rifiuta di accostarsi ai programmi di tutela ambientale internazionali, in primis al Trattato di Kyoto. Gli Stati Uniti difendono la propria autonomia in materia economica (ed ecologica), proseguendo così il loro schizofrenico e tormentato rapporto con la comunità internazionale, in bilico fra interventismo ed isolazionismo secondo la corrente dei petrol-dollari.
Ma Bush – l’uomo che se si parlava di Taliban pensava a un gruppo rock, salvo poi bombardarli – è un presidente che sa cambiare le proprie convinzioni. O almeno sa quando cambiarle. Nei prossimi giorni è in programma a Heiligendamm, in Germania, il G8, al centro della cui agenda saranno proprio le tematiche ambientali. Durante il vertice Bush sarebbe stato presumibilmente messo con le spalle al muro per la vacuità delle sue attuali politiche ambientali. Ma l’altro giorno ecco la svolta neo-ecologista, inattesa nei contenuti e nei toni. Con la Casa Bianca, piccata, a smentire la maldicenza di chi segnalasse il curioso tempismo delle esternazioni di Bush.
In giro per il mondo si è aperto il balletto dei commenti: i vassalli e i valvassori a salutare l’illuminata conversione di Mr. President, i detrattori a ricordare la fumosità delle dichiarazioni e la storica inattendibilità dell’uomo del Texas. E’ questo il punto: il gioco delle parti non si ferma, l’opportunismo politico sembra ciò che Bush e i suoi esegeti hanno fatto realmente colare nei microfoni negli ultimi giorni.
E’ questo il dramma e, talvolta, la comica: l’ambiente e le relative politiche sono, dalle parti degli Stati Uniti, chiacchiera salottiera. L’amministrazione Bush chiama il riscaldamento globale “cambiamento climatico”, per dare una connotazione più neutra al problema. Il direttore della Nasa, Michael Griffin, ancora ignaro della conversione del suo presidente, solo un’ora prima del discorso di Bush, aveva dichiarato: “Non ho dubbi che ci sia un trend di riscaldamento ma non sono sicuro che sia giusto dire che è un problema che dobbiamo affrontare. È un'illusione pensare che si possa intervenire sul clima come dimostrato da milioni di anni di storia”.
Al direttore della Nasa bisognerebbe mostrare un semplice disegno composto da una linea e qualche numero, un disegno che Al Gore porta in giro da anni per gli Stati Uniti e per il mondo. E’ il grafico che rappresenta la concentrazione della CO2 nell’atmosfera nel corso della storia. Un disegno il cui senso è alla portata di un ragazzino delle medie, ma il clima politico detta a molti scienziati statunitensi le perplessità e i distinguo che devono recitare.
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E’ questa cortina fumogena che intossica gli Stati Uniti, rasentando ora l’ignoranza caricaturale, ora l’arroganza. Al Gore, che ha fatto della campagna ambientalista il suo cavallo di battaglia, fa di fronte a Bush la figura del gigante. Gli Stati Uniti, insieme con Cina e India, sono fra i paesi con le maggiori responsabilità – e, insieme, le maggiori possibilità – di condurre la crociata contro il riscaldamento globale.
Proprio questo rende insopportabile l’idea che le dichiarazioni recenti di Bush siano semplicemente attendiste e strumentali. La speranza in un Bush nuovo è legata forse al fatto che si stia concludendo il suo secondo e ultimo mandato: potrebbe essersi reso conto di rischiare di passare alla storia come il presidente che ha trascurato la vera emergenza del nuovo secolo.
Dalle sue parole emerge comunque una volontà di potenza, l’istinto di chi vuole in ogni caso dettare il metodo e guidare il processo. Sarebbe, per il momento, una novità trascurabile, di fronte all’ipotesi di un Bush ravveduto. Fra pochi giorni, durante il G8, ha promesso che specificherà il suo piano di lungo termine contro l’emergenza ambientale. E allora, quali che siano le sue motivazioni – e persino le sue indicazioni sul metodo –, cominceremo a scoprire quanto di vero c’è nell’edificante visione di un Bush nuovo, petroliere redento.
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