QUESTIONI DI ETICHETTA. PRIMA PARTE
La Svizzera, lo stato cuscinetto tra Francia, Germania e Italia. Lo stato neutrale a tutti i costi. Lo stato della cioccolata. Degli orologi. Della precisione. Gli svizzeri, all’estero, sono cordiali quasi di default. Ma in Svizzera, gli svizzeri, chi sono davvero? Alcune riflessioni di un’italiana appena trasferitasi oltre il confine…
di Azzurra De Paola
Abitando in Svizzera ormai da qualche tempo, anche se non molto, e dopo averne apprezzato tutte le virtù, mi sono accorta di qualcosa che andava diversamente da quello che mi sarei aspettata da un paese come, appunto, la Svizzera. Di seguito alcune riflessioni…

Se un uomo guadagna 50 franchi per raccogliere mele da un albero, a parità di condizione con una donna (stesso tipo di lavoro, stesse ore di lavoro), la donna suddetta percepisce solo 39 franchi. È un fatto – socialmente e politicamente accettato – che le donne percepiscano salari inferiori rispetto agli uomini alle stesse condizioni qualsiasi occupazione svolgano.

Facciamo un passo indietro: Prima e Seconda Guerra Mondiale. Gli uomini, nel resto d’Europa, partono alla volta di altri paesi per combattere sul fronte. In Svizzera, invece, si ergono muri di protezione chiamati neutralità e gli uomini rimangono a casa. Se, nel resto d’Europa, la donna subentra all’uomo nelle fabbriche e in ogni tipo di occupazione in attesa del ritorno dei soldati, in Svizzera le donne rimangono relegate ai lavori domestici perché non devono sopperire a nessun vuoto lasciato dai mariti partiti per combattere. A questo punto, risulta evidente che questa chiusura – che poi scopriremo non essere solo politica ma anche culturale – causa una stasi in tutti i processi sociali ed economici che si avviano con la fine delle grandi guerre.

Fuori, l’Europa si apriva alle innovazioni sociali e, di conseguenza, culturali. In Svizzera ne arrivò un’eco confusa; così, facendo un balzo in avanti, se negli anni 70’ il diritto di voto era giunto in Italia (la tanto vicina Italia), in Svizzera non giunse prima di un decennio dopo.
Qui le donne, una volta inserite nel mondo del lavoro, svolsero dapprima compiti non aperti al mercato ma ruoli di stampo ancora domestico, come la sartoria.

Confinate nella loro condizione, allora, potevano forse non rendersi conto di quanto il mondo – al di là delle montagne – stesse correndo. Stagnava, la Svizzera tutta. E, in uno stato patriarcale dove perfino il patriarca si arenava nelle sue stesse realtà, la donna finiva per essere dimenticata.
Sembra quasi ovvio aspettarsi – con il passare degli anni – una protesta da parte delle donne, la pretesa di uscire da questo stato di minorità a cui sono obbligate. Eppure, non è così.
Perché?
La risposta più frequente, ad un campione di donne intervistate, è che lo stipendio (tanto) è sufficientemente alto da non doversi porre il problema. Altre, invece, non se ne interessano.

Ora, sebbene gli stipendi siano effettivamente superiori a quello che può essere il metro di misura della vicina Italia (la tanto vicina Italia), questo non sembra giustificare il principio per cui le donne debbano – a oggi – guadagnare di meno. Ma sembra ancor meno giustificato il motivo per cui nessuna di loro se ne lamenti e lo avverta come un’ingiustizia.

Fine parte prima, continua.


(16/05/2007)