Interessarsi alle dinamiche sociali è la prerogativa per ogni comprensione ulteriore; non si possono capire i meccanismi che regolano l’agire umano se prima non ci si sofferma sull’individuo che c’è dietro ogni scelta, senza mai cedere alla tentazione di fare di tutta un’erba un fascio. Che sia per mancanza di tempo o per paura, a talune problematiche ci si accosta mediando la necessità di rimediare a problemi dilaganti – quali la tossicodipendenza – con informazioni che scuotano senza sconvolgere. Eppure, sconvolgersi può essere il semplice guardare con gli occhi di un tossicodipendente la tossicodipendenza stessa. Ed ecco che essa assume altre sfumature, altri contorni.
Perché le spiegazioni mediche fungono compre preventive, ma sapere com’è – com’è davvero – può quietare quel senso di malessere che spinge le persone a drogarsi. Perché dietro la droga c’è un’incapacità di rapportarsi non al mondo bensì a se stessi in questo mondo. È il prendere consapevolezza di se stessi che è faticoso, per chiunque. E se a questo si sommano altri problemi, un senso di fatica verso la vita, la paura e l’incertezza del futuro (o la certezza di un futuro negativo), allora staccare il pensiero può rappresentare una soluzione effettiva. E cosa meglio della droga per staccarsi?
X., l’intervistato, è tutti gli “x” di questo mondo, quelli senza faccia, quelli senza voce di cui, deliberatamente, ci disinteressiamo. Perché, tanto, confinati nel loro mondo non ci danno nessun fastidio. Certo, se poi irrompono nelle nostre case, questo ci fa paura, ed allora nasce il (pre)giudizio sociale.
A. - Perché hai iniziato a drogarti?
X. - Per distinguermi, il modo peggiore di farlo, ma pur sempre per differenziarmi dalla massa; la voglia di violare le regole e l’emulazione di quelli che lo facevano già.
A. - Ti pesava il giudizio della gente?
X. - Non mi pesava il giudizio della gente, ma le aspettative che potevano essere riposte in me; la paura di non riuscire oppure il desiderio di cadere fuori dalle aspettative altrui, giustificavano – a me stesso – il mio annullamento. Perché un drogato può essere “nessuno” e da un nessuno la gente non si aspetta niente.
A. - Avevi più paura della vita o della morte?
X. - Sicuramente, della morte.
Un tossicodipendente ha la possibilità di morire ad ogni istante e si trascina per anni nella speranza di vivere e forse – durante la sua traversata – risolvere o comprendere le proprie angosce.
A. - Quando hai ri-cominciato ad essere consapevole di te stesso?
X. - La consapevolezza di se stessi può non mancare mai, ma la consapevolezza di essere all’altezza di queste super società nasce soltanto con il desiderio di partecipare di nuovo al mondo. È il tempo a dare forma a questo desiderio ed un’analisi di se stesso è il sistema migliore per riscoprirsi e capire.
A. - Le motivazioni per smettere nascono dalla coscienza interiore o dalle condizioni esterne?
X. - Da entrambe le cose. La coscienza non smette mai di gridare e le condizioni esterne concretizzano quel bisogno di tornare alla vita.
A. - Cosa ti sarebbe piaciuto trovare negli altri che ti mancava?
X. - La totale distanza da me, perché nonostante non ci si interessi dei tossicodipendenti sono degli ottimi capri espiatori. Per quanto riguarda il sostegno (morale, sociale, psichico) è meglio cercarlo nelle persone preposte, perché le persone “normali” creano molta confusione.
A. - Perché hai smesso?
X. - Giocano varie dinamiche e cambiano da persona a persona. Nel mio caso, è stato dimostrare ancora una volta che il ritorno da un viaggio così profondo e così fallimentare è possibile soltanto a chi ha la forza di guardare nel baratro e dimostrare di esserne uscito.
L’intervista, ovviamente, non esaurisce ogni possibile sfumatura del pensiero, ogni accezione del problema. Ma vuole essere un punto di inizio, uno spunto di riflessione.
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