Certe volte a tarda sera mi sento vuota. Guardo quella specie di cornice argentata intorno allo schermo spento, nero, e penso a quanto la tv ci renda soli. Sembra farci compagnia e invece divora. Com’è che succede?
Immagino l’origine di questa invenzione, immagino i primi tempi, i primi anni, l’epoca in cui tutto si apriva alla scoperta del suo ‘infinito’ utilizzo: doveva essere galvanizzante la possibilità di entrare in casa delle persone, raggiungere le ‘masse’, poter controllare e provocare desideri, produrre una lingua nuova, accedere alle cucine prima, ai salotti poi: rendere tutto disponibile per tutti –così almeno in teoria- poteva prefigurarsi come la più grande rivoluzione democratica di tutti i tempi.
Poi lo strumento è entrato in contatto con il potere e chi lo rappresentava, ha piegato la propria neutralità a bandiere, correnti, colori, logiche e mercato. Si è fatto usare per creare tendenze e ne è stato vittima; come una specie di circo o di bordello ha servito molti clienti e ha reso spettacolare la diversità, l’anomalia, la deformazione. Al punto che oggi, persino quando qualcosa ci sembra innaturale, se passa in tv riceve l’avallo dell’autorizzazione all’esistenza.
La tv è intervenuta pesantemente nell’educazione dei nostri figli e anche nei rapporti personali. La sua presenza, fisicamente comparabile a quella di un qualsiasi elettrodomestico, ha invece preso spazio durante le cene, le domeniche, le serate alla fine di pesanti o annoiate giornate lavorative. E’ divenuta, come già qualcuno ha scoperto coniando l’espressione ‘mezzo di distrazione di massa’, un diversivo capace di alienarci ulteriormente il mondo senza che la cosa ci sembrasse grave. E spesso, anzi, un po’ come accade con le droghe, è persino difficile ammettere la sua responsabilità in alcuni ‘disturbi’ del comportamento. Perché essa è normalmente spenta e dunque il fatto di accenderla o di regolarne sintonizzazione e volume, dà la sensazione di essere noi a decidere, a scegliere. Dunque la tv risulta apparentemente incolpevole.
E, sempre come accade nell’uso di droghe, è difficile farne a meno o addirittura sospenderla. Perché alla base del suo consumo c’è una mancanza, una malinconia di fondo, l’incapacità di affrontare noi stessi e gli altri. Qualche volta la tv ci garantisce un po’ di tregua dalle preoccupazioni –anche mostrandoci quelle altrui- oppure ci alleggerisce dalla conversazione dei commensali; possiamo parcheggiarci i bambini davanti per un po’ di tempo e più, può addirittura darci la sensazione di tenerci in contatto con le cose che accadono altrove.
Purtroppo, però, il mezzo –nella comunicazione- è più importante di quel che si comunica. La televisione è un mezzo finto. Il mezzo è irreale. Tutto quello che produce, dalle fiction ai telegiornali, dai reality al festival della canzone è falso. Non solo o non tanto perché è falsa l’informazione, ma perché si avvale di immagini che sono una riproduzione della realtà. La consapevolezza che ‘tanto è tutto finto’ (come ormai sostiene anche la famosissima casalinga di Voghera) non aiuta ma anzi favorisce quell’estraniamento di cui si parlava.
Perché se tutto è finto e in quel tutto c’è compresa anche la realtà (quella che passa in tv come realtà) allora ci abituiamo a un ‘tutto’ che non incide sul nostro corpo, sulla nostra vita: l’assuefazione nei confronti delle ingiustizie, degli scandali, per non dire delle guerre o dei disastri ambientali diventa sempre più grande.
Non vi stupisce che dopo alcune puntate di ‘Report’ o alcune inchieste de ‘Le Iene’ non ci sia una rivoluzione generale, una sommossa di piazza, una occupazione delle istituzioni? Nulla, non succede niente. Rimane tutto nella scatola, chiuso nella cornice argentata.
Il gioco tra realtà e finzione diventa pian piano perverso e nessuno ha più motivo di temere che anche le cose più gravi siano vere. Tutto scompare nel gingle ovattato dell’ulteriore automobile pubblicizzata, tutto viene sommerso da un nuovo caso di cronaca o da una rumorosa risata (finta).
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