STILL LIFE
TITOLO: Still life REGIA: Jia Zhang-Ke CON: Sanming Han, Wang Hong-Wei, Hong Wei Wang, Tao Zhao CINA 2006 DURATA: 105 minuti GENERE: drammatico VOTO: 7 DATA DI USCITA: 23/03/2007
di Giancarlo Simone Destrero
Han Sanming giunge a Fengjie, un villaggio nel sud della Cina, alla ricerca della ex moglie e della figlia che non vede da sedici anni. Ma il paesaggio è cambiato. A causa della costruzione della grande diga delle Tre Gole, il villaggio è stato sommerso ed il nuovo quartiere è ancora in costruzione. Sul posto arriva anche un’infermiera, Shen Hong, alla ricerca del marito che non dà sue notizie da due anni.

In questo affascinante film di Jia Zhang-Ke il racconto dei due protagonisti è un pretesto per evidenziare altro. Quello che attrae lo sguardo e si fissa nella coscienza degli spettatori è sicuramente il contesto paesaggistico. Una proliferare di grandi edifici popolari eretti sulle pendici di montagne che convergono a valle in un grande lago. Intorno al lago una serie di villaggi che si addensano e dove vive una moltitudine di gente.

Una commistione tra natura e cultura che meraviglia, frutto delle straordinarie catene montuose asiatiche e dei decenni di regime comunista che ha governato il paese e che sembra aver prodotto una moltiplicazione esponenziale del ceto popolare cinese, nella classe operaia e contadina. La fine del grande sogno maoista e la perseveranza di un’ipocrita parvenza comunista fino ai nostri giorni ha causato una situazione sociale controversa, dove il popolo subisce la perniciosa risultante tra gli effetti peggiori degli anni passati e un capitalismo globalizzante.

Tutto questo assume dei toni apocalittici negli ambienti ripresi e nella livida fotografia del film. Still life è tutto un brulicare di individui che sopravvivono nella coltre nebbiosa della quotidianità, dove non si riesce a vedere nient’altro che la statica precarietà di questo contesto.

Al cospetto di questo futuro invisibile, ognuno reagisce a suo modo. I protagonisti del film sono due, tra i possibili, esempi di come sopravvivere. Han Sanming è un minatore che cerca di recuperare gli affetti più intimi e che, appunto, si aggrappa ad un minimalismo sentimentale che è avulso dal contesto storico-politico e che, del resto, è una peculiarità umana fondamentale, il cui esito influenza ogni individuo.

L’infermiera Shen Hong, invece, è colta da visioni fantascientifiche che irrompono improvvisamente, quasi come una sobria allucinazione, nella deprimente monotonia del contesto sopra citato. Due modi per sfuggire da una squallida realtà sociale.

Il regista cinese racconta tutto questo con dei movimenti di macchina e dei tempi d’inquadratura a largo respiro, che presuppongono uno spettatore capace di osservare e riflettere sul senso delle immagini. I carrelli sui corpi, sulle nuche, sui volti della gente mettono in relazione questa realtà umana con la natura circostante, filmata attraverso lunghe panoramiche.

Forse si è ad un passo da un estetismo compiaciuto che, a volte, è un limite per un certo cinema orientale, ma il fascino indubbio che emana quest’opera è, anche, dovuto al riuscito connubio tra immagini funzionali ed immagini estetiche.

Leone d’oro della 63’ edizione del festival del cinema di Venezia


(01/04/2007)