DOMANDE E RISPOSTE
Risposte a domande di una lettrice, che diventano spunti di riflessione...
di Dott. Maria Rosa Greco. Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
Questa settimana rispondo ad una serie di quesiti postimi da una lettrice della rubrica. Grazie alla sue domande posso dare degli spunti di riflessione che anche altri lettori/lettrici possono cogliere e riferire alla propria esperienza.

Di seguito il testo con domande e risposte:

D - Salve dottoressa, mi piacerebbe avere il suo parere in merito a questi miei dubbi.
E’ possibile che la psicoterapia non sia adatta a tutti, così come non tutte le medicine sono somministrabili indifferentemente a chiunque?

R - Certamente, ci sono persone che non vogliono guardarsi dentro, trovare soluzioni ed affrontare cambiamenti personali, partendo dall'acquisire una maggiore consapevolezza da usare nella vita, uscendo magari da un atteggiamento di passività. Altri preferiscono l'ansiolitico o altri rimedi e sarebbe perfettamente inutile iniziare una psicoterapia senza alla base una motivazione reale ad intraprenderla. Escludo qui i casi in cui è necessario intervenire su crisi acute che mettono in pericolo la vita stessa della persona che sta male e quella di chi le sta vicino.

D - E’ possibile che, in assenza di un reale problema psicologico, possa risultare addirittura dannosa?

R - No. Ci sono persone che intraprendono un percorso psicoterapeutico perchè vogliono conoscersi meglio e sperimentarsi in maniera diversa col mondo, anche se non manifestano “problemi psicologici” che creano stati di sofferenza. Potrebbe risultare dannosa, invece, quando, ad esempio, non è chiara la relazione con lo psicoterapeuta e non sono chiari gli obbiettivi del lavoro psicoterapeutico che si sta portando avanti. Inoltre, può non essere utile se manca la reale volontà di "mettersi in gioco". In quel caso il “provare giusto per provare" non porterebbe ad alcun risultato concreto. Quando una persona è capace di intendere e volere e sceglie liberamente di farsi aiutare attraverso la psicoterapia l’ipotetico danno che ne può avere il cliente è riconducibile, ripeto, ad una non chiara gestione dello spazio terapeutico da parte del professionista (fattori di transfert, dipendenza, diagnosi e prognosi da ricondurre non solo ai manuali scritti, ma alla relazione viva con il cliente stesso).

D - Esiste un solo modo giusto di fare psicoterapia, imposto dal medico e su cui il paziente non ha voce in capitolo? Oppure la terapia può essere valutata caso per caso?

R - Non esiste un solo modo di fare psicoterapia. Ovviamente ogni psicoterapeuta ha un suo modo personale di intessere una relazione professionale che nasce, in genere, dalla propria formazione teorica, dalle proprie propensioni personali e dalle esperienze fatte. Inoltre, ogni individuo rappresenta un mondo a se, unico. Personalmente, ad esempio, non ho mai portato avanti uno stesso processo psicoterapeutico uguale per due persone diverse. Tra l'altro, quando posso, integro con tecniche diverse che non provengono dalla mia formazione di base, ma da esperienze, corsi, insegnamenti ricevuti in seguito. Ossia, integro se sento che la persona che ho davanti vuole ed è in grado di usare altro in un dato momento.

D - La psicoterapia deve necessariamente creare un rapporto di dipendenza medico/paziente?

R - Ci sono approcci terapeutici che creano in maniera forte questo tipo di relazione (es. la psicoanalisi), ma altri no. In ogni caso, anche se non come obiettivo primario posto dal terapeuta, è inevitabile che si crei un rapporto di "dipendenza" che nasce dallo stabilire uno clima di fiducia reciproca. Dopo, sta al terapeuta non "usarla" per "manipolare" il cliente portandolo dove magari l'altro non è pronto o non vuole andare. La dipendenza è senz'altro un'arma che fa sentire "potente" il terapeuta, ma quando si è già fatto un lavoro su se stessi e si rimane vigili, la si sa calibrare ed usare solo a favore di chi chiede aiuto ed è pertanto in una condizione di bisogno che, aimè, fa anche sentire inferiori! In realtà per molti clienti è anche comodo rimanere in una condizione di "non-libertà", ma reputo non valga la pena sprecare tempo di vita prezioso, pertanto avendo chiaro per me stessa l’importanza di stimolare l’autonomia altrui, inevitabilmente la relazione col cliente va nella direzione di sostenere ciò. Ritengo che quando si lascia un nido, se non si affronta la paura di non riuscire a volare da soli (azione che avverrebbe in un istante), si può rimanere a saltellare attorno ad esso per lungo tempo, illudendosi di saper volare!

Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
e-mail: greco.mariarosa@libero.it
tel. 338/7255800



(17/03/2007)