INDIPENDENTI E AUTONOMI DALLA FAMIGLIA? SOGNANDO I GIOVANI DI DOMANI...
Baby-bond, investimenti sociali, incremento delle politiche giovanili: i governi ci provano a parlare “giovane”, ma purtroppo in Italia siamo ancora lontani dalla meta.
di Claudia Bruno
L’espressione “autonomia dalla famiglia”, riferita ai giovani, sembra essere la più frequente nella stampa quotidiana degli ultimi giorni. Forse qualcuno comincia ad accorgersi che la piaga sociale del nostro mondo per bene è quella di aver agevolato l’incremento di nuove generazioni destinate a marcire nella stasi del nucleo d’origine.

Questo in Italia è particolarmente evidente: prima dell’autonomia in generale, i giovani ventenni e trentenni faticano a conquistare un’indipendenza economica stabile nei confronti dei genitori, a meno che non decidano di interrompere ogni tipo di formazione e dedicarsi a lavori poco qualificati ma sufficientemente remunerativi.

La necessità di dare spazio ai giovani, in particolare a partire da finanziamenti concreti, si fa sentire in modo sempre più forte, e mentre in Italia la maggior parte dei lavoratori si interroga sulle sorti del proprio trattamento di fine rapporto (Tfr), e il governo zoppica giustificandosi riguardo alle previsioni di pensioni invisibili per le nuove generazioni, gli altri Paesi riflettono su politiche in grado di garantire ai neo-nati di oggi un futuro mediamente stabile.
Come a dire, il buongiorno si vede dal mattino.

Stiamo parlando di politiche che puntano sul capitale umano, quindi molto spesso riguardanti le famiglie ma soprattutto i ragazzi. Investimenti sociali, per intenderci: da noi quasi perle rare. Così, da qualche anno a questa parte, all’interno di un più generale dibattito internazionale sulla riforma del welfare ha preso piede l’idea della dote di capitale, a Londra “baby-bond”.

In poche parole si tratta di mettere a disposizione di ogni nuovo nato un fondo aperto dallo Stato e integrabile dai genitori nel corso degli anni, finché, giunto alla maggiore età, il soggetto in questione non si troverà con una base economica concreta su cui poter contare per compiere le prime scelte importanti (comprare una casa, proseguire gli studi, auto-munirsi per il lavoro, viaggiare).


Il CorriereEconomia di qualche giorno fa ha interpretato l’istituzione di questo deposito come “una sorta di liquidazione all’inizio della vita adulta”, anziché alla fine: un anti-Tfr, insomma. L’Inghilterra lo sperimenta già dal 2003, e ha fatto da modello per Canada, Ungheria e Singapore. Ora, mentre gli Usa firmano un accordo per la creazione di un Kids Accounts, l’Unione Europea si appresta a studiare il progetto di base.

L’idea comune ai governi che hanno messo in pratica questa procedura, sarebbe quella di consentire ad ogni giovane adulto di uscire dalla famiglia intraprendendo un percorso formativo o lavorativo autonomo. La stessa volontà, talaltro, manifestata dal nostro Ministro per le Politiche Giovanili in un’intervista rilasciata al Messaggero il 7 marzo, in cui sottolineava l’importanza e la necessità di investire sui giovani e sulla loro autonomia dalle famiglie, magari estendendo le agevolazioni fiscali previste per gli studenti fuori sede “a tutti i ragazzi che lasciano la casa d’origine per andare a vivere da soli, o in coppia”.

Al di là delle scelte tecniche e dei programmi politici che i vari governi metteranno in pratica, quindi, emerge ora più che mai il bisogno di lasciare spazio alle nuove generazioni: per la realizzazione della vita privata, come di quella pubblica, per raggiungere obiettivi lavorativi e formativi, per garantire la crescita effettiva della società in fermento che stiamo vivendo. Ma, almeno in Italia, siamo ancora molto lontani dalla meta.


(19/03/2007)