BASTA PAROLE STRANIERE E DIFFICILI. NEI NOSTRI MUSEI,FINALMENTE, SI PARLA ITALIANO
Il ministro Francesco Rutelli ha nominato una commissione tecnica per riscrivere il linguaggio dei beni culturali.
di Claudia Pecoraro
La commissione, presieduta dal linguista Luca Serianni, da Giuseppe Proietti (alla guida di tutti e quattro i Dipartimenti del ministero), dal direttore della Scuola Normale di Pisa Salvatore Settis, oltre che da lessicografi e giornalisti, provvederà, entro il 27 febbraio, ad una revisione complessiva del linguaggio e della terminologia non solo degli atti amministrativi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ma anche della vita quotidiana dei musei.

In sostanza, Rutelli invita, in una lettera circolare inviata dal suo Gabinetto ai direttori generali, a rispettare «il linguaggio adoperato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e soprattutto a usare una terminologia che risponda il più possibile a criteri di chiarezza e trasparenza».

Nella circolare si suggerisce di evitare l’uso di termini stranieri, in particolare anglicismi, a meno che non si tratti di neologismi correnti privi di una espressione corrispondente in italiano.

I vari “bookshop”, “card” e “tickets” saranno da sostituire preferibilmente con i più semplici e nostrani “libreria”, “carta” e “biglietti”. È così auspicabile evitare di ricadere in terminologie di strampalata invenzione come “ticketeria”, ibrido imbarazzante che provocò il sarcasmo di Indro Montanelli nel 1998.

Le “coffee-house” torneranno ad essere “caffè”; i “gadgets” insieme al “merchandising” (prodotti, merci, oggetti) saranno venduti in un negozio e non in uno “shop”. “Booking” e “reservation” lasceranno il posto alla più comprensibile “prenotazione”.

E sarà bene - continua la circolare – archiviare per sempre «ipertecnicismi o arcaismi tipici del linguaggio burocratico». Meglio il più consueto “patrimonio culturale” di “giacimenti culturali”. “contenitore museale”.

Che senso ha pubblicizzare un “evento”, termine abusato che è tutto e niente allo stesso tempo (alla lettera “avvenimento passato”), quando esistono le parole “mostra” e “manifestazione”?

L’obiettivo è combattere quel circolo vizioso che proprio Settis ha recentemente individuato nel fenomeno del “benculturalismo”, vera e propria mania che ha dato avvio a un vocabolario infarcito di invenzioni inutili.

Nella lettera di Rutelli si ricorda che uno dei compiti del ministero è «contribuire a formare e diffondere una cultura nazionale della quale la lingua italiana rappresenta un fondamento imprescindibile». Il ministero ha, insomma, il dovere di proteggere e valorizzare la cultura italiana ed è bene che usi la lingua italiana.

La commissione non imporrà alcuna sostituzione ma si limiterà a proporre dei consigli per arginare un fenomeno in crescita in Italia, che altrove sarebbe incomprensibile. Per citare solo due esempi: in Spagna (vedi Museo del Prado) tutto è indicato in spagnolo, naturalmente con le dovute traduzioni per gli stranieri; in Francia, dove addirittura esiste un organo ministeriale preposto unicamente alla tutela della lingua francese, si assiste a volte all’eccesso opposto (non è infrequente trovare il nostro Michelangelo tradotto in Michel Angel! ).

Difendere la lingua italiana vuol dire difendere la nostra cultura da una stupida massificazione, vuol dire riappropriarci della nostra identità e dimostrare ai milioni di visitatori stranieri che affollano le nostre città, i nostri musei e luoghi d’arte che siamo orgogliosi di essere Italiani. Se non completamente, almeno di quel fiore all’occhiello che è il nostro patrimonio culturale.


(20/02/2007)