VIAGGIO NELL'ANTICA ROMA. IL ROGO DI GIORDANO BRUNO
Un rogo divampa in una piazza romana mettendo prematuramente fine alla vita di uno dei più grandi ingegni dell’umanità: Giordano Bruno. Da Roma le fiamme della repressione e dell’intolleranza illuminano un’Europa lacerata dagli odi religiosi. Questo il tema del sesto appuntamento di Lezioni di Storia – la rassegna nata dalla collaborazione fra la Casa Editrice Laterza e la Fondazione Musica per Roma – fatto rivivere da Anna Foa, professoressa di Storia Moderna all’Università di Roma La Sapienza.
di Donatella Cerulli
Campo dei Fiori è una delle piazze più caratteristiche di Roma. Il suo nome è dovuto al fatto che in origine era un enorme prato fiorito dove pascolava liberamente il bestiame. Lastricato intorno al 1440, divenne poi sede di mercato, di case di prostituzione, di locande ed alberghi. Su questa piazza, attraversata e trafficata intensamente da pellegrini e turisti, si svolgevano anche le pubbliche esecuzioni capitali. Ed è proprio in Campo dei Fiori che il 17 febbraio del 1600 fu arso vivo Giordano Bruno.

Giordano, al secolo Filippo Bruno, nacque a Nola, in Campania, nel 1548. Figlio di un modesto soldato, a 18 anni divenne frate domenicano nel convento napoletano di San Domenico Maggiore.
Il suo spirito di “libero pensatore” lo portò a raccogliere e studiare testi messi all’indice. Quando questi libri vennero scoperti nella sua cella, fu avviata contro di lui un’istruttoria dalla quale Giordano riuscì a sottrarsi scappando da Roma e abbandonando la tonaca. Da quel momento iniziò un lungo vagabondare da una città all’altra d’Italia e d’Europa, accolto dapprima favorevolmente per la sua grande fama di uomo di cultura, e poi osteggiato e perseguitato per il suo costante rifiuto ad asservirsi a qualsiasi forma di potere politico, culturale o religioso.

Fu colpito, infatti, da ben tre scomuniche: dalla Chiesa cattolica, da quella calvinista e da quella luterana.

Tra fughe, interrogatori e persecuzioni, Giordano Bruno non smise mai di studiare e di dare vita ad una vasta produzione letteraria. Scrisse commedie, trattati di memotecnica, di filosofia, di teologia, di astrologia, di magia, di numerologia, di alchimia... sempre professando il diritto ad un libero pensiero, alla libertà dell’intelletto umano che non può e non deve essere imbrigliato da dogmi di qualsiasi genere.


Nel 1591 Giordano, accettando l’invito del nobile Giovanni Mocenigo, tornò in Italia, e precisamente a Venezia, dove entrò a far parte del famoso “Circolo Morosini” i cui aderenti auspicavano una libertà laica dello Stato dall’ingerenza temporale della Chiesa. Denunciato dallo stesso Mocenigo, fu arrestato e rinchiuso in carcere a Venezia fino a quando, nel 1593, la Chiesa ne ottenne l’estradizione imprigionandolo nelle carceri romane del palazzo del S. Uffizio, nei pressi di Porta Cavalleggeri, dove venne sottoposto ad interrogatori e, probabilmente, a torture. Giordano sperava ancora di potersi salvare quando, però, al lungo capo di accuse che gravava su di lui si aggiunse la denunzia di un frate cappuccino, suo compagno di cella nelle carceri venete.

Celestino da Verona, questo il nome del frate, pur di avere una riduzione di pena, si ridusse ad esercitare lo squallido ruolo di delatore carcerario e, in tal senso, rivelò di aver raccolto dichiarazioni eretiche e blasfeme da parte di Giordano Bruno durante la loro comune prigionia.
Per Giordano fu la fine. In un primo tempo pensò di abiurare e pentirsi pur di aver salva la vita. Poi il suo grande spirito di libero pensatore ebbe il sopravvento sulle paure umane e dichiarò di non potersi pentire, soprattutto perché non sapeva di cosa pentirsi.

Il 20 gennaio del 1600 papa Clemente VIII decretò chiusa l’inchiesta contro “l’eretico impenitente, pertinace, ostinato”. «Tremate più voi nel pronunziare questa condanna, che io nel riceverla», esclamò Giordano all’udire la sentenza di condanna al rogo.
All’alba del 17 febbraio del 1600 Giordano Bruno fu condotto a Campo dei Fiori con un morso alla bocca per impedirgli di parlare. Fu denudato fino alla vita, legato ad un palo e arso vivo.

Tutte le sue opere furono messe all’indice e bruciate, il suo pensiero avvolto nell’oblio per secoli… Solo nel 1849, durante la breve Repubblica Romana, fu eretto un monumento al grande pensatore che, però, Pio IX si affrettò a far distruggere appena rientrato a Roma. Quarant’anni dopo un comitato cui aderirono le maggiori personalità dell’epoca, nonostante l’agguerrita opposizione ecclesiastica, riuscì a far erigere un nuovo monumento a Giordano Bruno in piazza Campo dei Fiori, in quello stesso luogo dove fu “abbrugiato vivo”.

Il giorno dell’inaugurazione, il 9 giugno del 1889, fu considerato “di raccoglimento e di lutto” dall’Osservatore Romano; in quanto al papa, Leone XIII lo trascorse digiunando e pregando...

Il grande peccato, la grande eresia di Giordano Bruno fu quella di concepire un futuro diverso per i suoi simili. Un avvenire auto determinato dalla forza della coscienza individuale.
Oggi, più che mai, sembra che Giordano Bruno sia morto invano...


Appuntamento alla settima lezione: La breccia di Porta Pia, a cura del professor Vittorio Vidotto
18 febbraio alle ore 11

Roma, Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica


(12/02/2007)