VIVERE NELLA RETE
C’è chi dice che l’incontro casuale si è trasferito nella rete. Io temo che molti cerchino di coltivare nel web anche un giardino di sentimenti che sarà inevitabilmente falsato dal travestimento che ognuno di noi dedica al proprio sè.
di Janet De Nardis
Si rompe il computer: tragedia!
Finché non accade non ci accorgiamo di quanto oggi la nostra vita sia influenzata dalla presenza di questo mezzo. Infatti, per chi non lo ricordasse, si tratta di uno strumento tecnologico che ci ha permesso di migliorare la capacità di reperire informazioni di ogni tipo e che, ogni giorno, milioni di persone usano per comunicare rapidamente, in tempo reale. Eppure oggi, il computer sembra avere fagocitato il nostro tempo, anche quello che prima dedicavamo ai rapporti sociali. In questo giovane XXI secolo amori e amicizie (aimè!) si consumano nella Rete.

Resto stupita nello scoprire, dopo una rapida ricerca, che in pochi anni sono nate una quantità assurda (almeno a mio parere) di community e simili: Friendster, Facebook, Myspace, Nerve, Second Life, Flavorpill...

Ho scoperto che sta dilagando la moda di fare parte di Dodgeball che mette in contatto la comunità on line con il proprio cellulare, come? Spedendo un messaggio di testo al 36343, un programma automatico invia un altro messaggio indicando, a quelli inseriti nella propria rete di amici, dove ci si trova nel momento in questione. E’ un po’ come avere un satellitare personale che ci permette di controllare i movimenti nella città, o altrove, dei propri amici. E la privacy? Siamo davvero figli del Grande fratello? A volte temo di sì.

E` inutile negare che ci stiamo trasformando in una società individualista in cui i rapporti interpersonali sono sempre più rari e superficiali. Si dice che il lavoro sia diventato cosi` al centro delle nostre vite, per cui oggi si ha poco tempo e pochissime occasioni per incontrare nuove persone, ma credo si tratti di un modo come un altro per giustificare timori e pigrizie.

A me sembra che molte persone lavorino “solo” otto ore al giorno, escluse le altre otto (più che sufficienti per dormire), un paio per mangiare e svolgere altre funzioni strettamente personali, cosicchè restano almeno sei ore libere. C’è chi dice che ne trascorre almeno altre due nel traffico, ok! Diciamo che vi siano solo quattro ore giornaliere libere, le quali moltiplicate per i cinque giorni lavorativi della settimana diventano venti. Inoltre restano almeno 24 ore libere tra sabato e domenica, per chi non lavora anche il week end.

La domanda è: è possibile che in 48 ore disponibili, durante la settimana, non si trovi il modo di frequentare una palestra, un corso di pittura, ballo, musica o altro? E` davvero realistico che non si riescano a trovare un paio di sere la settimana per uscire a cena con amici, fratelli, fidanzati?


Temo che il problema stia in una mentalità che cambia velocemente e ci induce a non metterci in discussione. Confrontarci, realmente, senza barriere con un altro essere umano vuol dire affrontare le proprie debolezze, le proprie paure e i propri difetti.

Inoltre il computer o meglio internet ha creato una scappatoia, socialmente accettata, per non affrontare la vita, quella reale.

Chi non trova un fidanzato/a, chi dice di non avere amici, chi non ha voglia di faticare per conquistare un amore “veloce”, può connettersi al web e navigare trovando con facilità qualsiasi cosa.

Ci si iscrive o si viene invitati ad una community qualsiasi come Exego e si compila il proprio profilo inserendo una foto (accattivante per i piu` spudorati o un’immagine di fantasia per chi vuole potersi raccontare che non sarà apprezzato/a per il proprio fisico, ma per la propria anima).

A questo punto gli habituée della community daranno il benvenuto al nuovo arrivato, invitandolo a partecipare a qualche discussione e ad entrare a fare parte della propria rete.

Da questo momento in poi, può accadere di tutto.

Conosco persone che prima di lavarsi i denti, al mattino, accendono il computer per verificare quante persone abbiano visitano il proprio profilo e quanti siano i messaggi ricevuti. Altre, restano connesse tutto il giorno (anche dal computer dell’ufficio) per non perdere il possibile “contatto” con qualche sconosciuto/a. Altre ancora non escono mai durante la settimana, dato che la sera restano a chattare con gli “amici” della community.

E il fine settimana? Si finisce per frequentare solo aperitivi, cene e scampagnate con queste stesse persone, anzi con la loro proiezione.
In realtà quello che molti non capiscono è che se effettivamente è molto difficile riuscire a conoscersi con una frequentazione dal vivo, è assolutamente impossibile pensare che un rapporto nato, e in parte consumato, attraverso un computer non sia falsato.

Poniamo che un ragazzo e una ragazza si conoscano attraverso il blog di un qualsiasi sito: iniziano a parlare e a raccontarsi le proprie esperienze, i gusti e le speranze; si scambiano le foto con cui loro pensano di fare bella figura e idealizzano la persona con la quale sono in contatto.

Quando queste due persone si conosceranno avranno un’idea già ben delineata l’una dell’altra, si aspetteranno alcune cose e ne vedranno altre che in una situazione “normale” non avrebbero mai notato, semplicemente perchè sono state spinte a cercarle dalla visione che l’altro ha di sè stesso.


Per non parlare dell’atmosfera che si respira durante le cene organizzate da queste community: è un tutti-contro-tutti. Ogni singolo individuo si presenta al gruppo per la quantità di contatti che ha raccolto, per il numero di blog aperti, per essere il profilo più visitato del mese, per essere quello/a che è andato a letto con più persone all’interno della community stessa. Si tratta del desiderio di un’ascesa sociale (anche se virtuale), che porta ad una spersonalizzazione dell’individuo che perde di vista i valori di una vita che dovrebbe essere fatta di rapporti che nascono, vivono ed esistono al di là della creazione o meno di una rete internet; al di là della possibilità di mettere in vetrina la propria esistenza e le proprie frequentazioni, i propri gusti, dolori e gioie.

Continuo a credere nelle emozioni, in ciò che si sente incrociando uno sguardo e sentendo un profumo, ascoltando una voce o guardando un’espressione del volto. Pensando al futuro, voglio credere che i figli che avremo (noi giovani di oggi) possano vivere il sentimento dirompente che solo certi abbracci possono trasmettere.


(03/02/2007)