MATRIMONIO: HA ANCORA SENSO OGGI?
Per la prima volta nella storia la maggioranza delle donne americane vive senza marito; in Italia i divorzi sono aumentati del 66% negli ultimi dieci anni. La crisi del matrimonio è un indicatore della decadenza della nostra società? O non è piuttosto un segnale di crescita, il riconoscimento del fatto che nessuno può assicurare che un proprio sentimento durerà in eterno e l’avvio di un modo nuovo, più libero e disinteressato, di stare insieme?
di Laura Bonaventura
La scorsa settimana è stato reso noto un dato storico: per la prima volta la maggioranza delle donne americane, il 51% nel 2005, vive senza marito. Tale cifra, che comprende nubili, divorziate, vedove e conviventi, sarebbe in costante crescita, secondo un trend che l’attuale presidente Bush giudica segno di decadenza, ma che tutte le donne intervistate dal New York Times – il quotidiano che per primo ha pubblicato i dati del censimento relativo al 2005 – ritengono estremamente positivo, affermando che la vita al di fuori del matrimonio può essere ricca e appagante.

E in Italia? Secondo il rapporto Eures del novembre 2006, i matrimoni sono diminuiti del 30% dal 1975 al 2005, mentre separazioni e divorzi hanno conosciuto un vero boom: rispettivamente +59% e +66% negli ultimi dieci anni. Nel 2004 separazioni e divorzi sono stati più di 128.000, pari a 352 sentenze al giorno: l’equivalente di un addio legale ogni quattro minuti.

Ancora qualche particolare: il picco delle separazioni si situa tra il terzo e il quinto anno di matrimonio; tra le motivazioni spicca l’insofferenza reciproca; la decisione è consensuale nel 78,2% dei casi (dati del 2005).

Tutti questi dati ci portano ad una riflessione sul significato che può avere oggi l’istituzione del matrimonio. Quanti sono, tra coloro che scelgono l’abito bianco, l’altare e le fedi benedette dal sacerdote, i veri cattolici che vivono l’unione degli sposi come un sacramento divino, affrontando di conseguenza qualunque contrasto e difficoltà alla luce di uno spirito di sacrificio e di dedizione ispirato dall’alto? Sicuramente una minoranza. Tutti gli altri si sono fatti guidare dalla consuetudine, dal voler essere “come gli altri”, dal desiderio di una bella festa.

La verità è che nell’ultimo secolo l’istituzione del matrimonio in Occidente ha subito più trasformazioni che nei precedenti due millenni di storia cristiana: fino ai recentissimi anni dell’emancipazione femminile, dell’accesso alle professioni, del riconoscimento di un’adeguata retribuzione, il matrimonio era un passo necessario per la donna, che trovava nel marito non solo la fonte del sostentamento – in realtà solo le donne borghesi erano mantenute dal marito, tutte le altre lavoravano in fabbrica e nei campi, percependo però un salario da fame, pari a meno della metà di quello maschile, a parità o anche a fronte di maggior carico di lavoro -, ma soprattutto la garanzia della propria rispettabilità e il riconoscimento sociale.

Fino ad oltre la metà del ‘900 la maggior parte delle donne, serve in casa e sul lavoro, fattrici instancabili di bambini – il parto era la prima causa della mortalità femminile -, viveva rassegnata la propria condizione di sudditanza e di rinuncia, mentre i mariti, capifamiglia e dominatori indiscussi, erano liberi di trovare divertimento nelle case di piacere e di non alzare un dito all’interno delle mura domestiche e nella cura dei figli.

Altrettanto triste era la sorte delle zitelle, considerate esseri inutili, peso da mantenere per i parenti che erano costretti ad ospitarle e dei quali erano di fatto, anche loro, serve.


Man mano tuttavia che la lotta delle femministe, delle donne socialiste – le uniche parzialmente sostenute dagli esponenti maschili di quel movimento - e di tante “intellettuali” , che si battevano da decenni per i diritti femminili contro il muro del potere maschile, riusciva ad aprire dei varchi, la mentalità cominciava a cambiare.

Con il ’68 si aprì la nuova era della parità dei sessi e la lotta contro le istituzioni, quelle politiche quanto quelle sociali, finì sulle barricate, per condurci ai giorni nostri, in cui – passate anche le teorie sull’amore libero – la società è completamente cambiata e con essa l’idea della famiglia, del ruolo che la donna e l’uomo svolgono in essa e nel mondo del lavoro.

Eppure, come è ormai noto, i cambiamenti di mentalità sono “le onde lunghe” della storia, i suoi movimenti più lenti e suscettibili di “risacca”, diseguali, difficili da valutare con precisione. Così le differenze nel modo di intendere e vivere il matrimonio da parte di uomini e donne sono ancora oggi fortissime, ed emergono non solo tra Nord e Sud Italia, ma tra persona e persona, a seconda della “classe sociale” e del livello di cultura del singolo, con una varietà di atteggiamenti che mostra quanto il processo di emancipazione femminile sia ben lungi dall’essere completato.

In questa generale confusione ci si continua a sposare, con aspettative diversissime, spinti da retaggi mentali del passato, dalla paura di restare soli, da sogni disneyani, dal timore di aderire a nuovi modelli o addirittura dalla mancanza di modelli di vita alternativi. E sempre più spesso ci si separa tra accuse e insulti reciproci, nel comune rimprovero di non aver mantenuto le promesse fatte.

Moralisti di ogni colore rimpiangono i bei tempi andati, condannano la nostra società decadente, divorata dai mostri del consumismo e dell’edonismo, incapace di qualunque sacrificio o rinuncia, non in grado di “amare davvero”.

Eppure, a pensarci bene, una volta cadute le ragioni dell’interesse e della necessità economica, per quale motivo – ad esclusione, ripetiamo, di quello religioso – qualcuno dovrebbe portare per tutta la vita la croce di un rapporto divenuto solo routine, insoddisfazione e noia? Per quale ragione si dovrebbe sopportare un partner dimostratosi inadeguato, magari prevaricatore o indolente, o immaturo?

Il matrimonio si rivela oggi istituzione superata e inadatta alla vita moderna semplicemente perché “amare davvero” non significa “amare per sempre”, perché abbiamo compreso – dolorosamente e a nostre spese – che nessun uomo o donna può giurare che un proprio sentimento durerà in eterno.

Perché, se un sentimento d’amore deve essere il fondamento dell’unione tra uomo e donna, di tale sentimento purtroppo nessuno di noi è davvero padrone. Sentimenti ed emozioni sono mutevoli ed è la vita stessa a cambiarli, così come cambia noi stessi, quasi sempre senza la nostra collaborazione e spesso contro la nostra stessa volontà.


Si dice che dopo la fiamma della passione – il sentimento che per sua stessa etimologia “si subisce” – l’amore matrimoniale si trasforma in tenero affetto, manifestandosi in aiuto reciproco, sostegno nelle difficoltà della vita. Ebbene questa trasformazione può accadere o non accadere e forse è giusto che quando ciò non avvenga i due amanti si lascino, senza rancore, accettando che la vita stia separando le loro strade così come un tempo le aveva avvicinate.

Invece il matrimonio costringe i coniugi a restare insieme, finché gli animi si inaspriscono, finché coloro che si erano amati non arrivano a detestarsi, a odiarsi, a desiderare la rovina l’uno dell’altro. E sono scene che si vedono ogni giorno in tribunale, mariti e mogli che si rinfacciano ogni meschinità, litigano per ogni centesimo, usano i figli come arma di ricatto, si insultano senza ritegno.

L’indipendenza economica ha reso le donne libere ed esse non sono più disposte a sopportare la convivenza con uomini che non amano più; l’educazione all’indipendenza domestica ha reso gli uomini liberi dal bisogno di una moglie-serva.

Unirsi per amore, essere liberi di lasciarsi in qualunque momento se non ci si ami più. Senza firme, senza contratti, senza altari o tribunali. Non tutti ci sono arrivati, ma i dati su quanto avviene nella nostra società ci dice che, anche se a diversi livelli di consapevolezza, questa è la direzione verso la quale ci muoviamo. Questo è il nostro sogno per domani.


(26/01/2007)