Alla fine dell’Ottocento l’umanità si apprestava ad entrare in un nuovo secolo in cui i depositari del sapere scientifico avrebbero avuto un potere capace di far credere al resto del genere umano che quanto accadeva sotto gli occhi di tutti altro non era che il frutto di un vero e proprio prodigio: ovvero quando la scienza si declina e coniuga con l’illusionismo. Nient’altro che uno spettacolo in tre atti: primo atto la promessa, secondo atto la svolta, terzo atto il prestigio.
Due talentuosi illusionisti si sfidano nell’Inghilterra a cavallo tra XIX e XX secolo al limite delle loro forze, per una rivalità innescata in entrambi dal cieco desiderio di vendetta. Nessuno può risultarne vincitore e a volte guardare attentamente non basta a risolvere l’enigma; a maggior ragione se il proprio ego offusca i preziosi doni della devozione e dell’amore ricevuti dalle rispettive compagne di vita.
Christopher Nolan non è un regista il cui stile di ripresa è particolarmente riconoscibile per scelte di ottiche o per movimenti della macchina da presa, e neppure per una direzione degli attori talmente fuori dai comuni parametri da rappresentare una firma inconfondibile. Forse perché non è nelle sue corde caratterizzare la sua regia con simili impronte tecniche, o forse perché agisce nel pieno del sistema statunitense delle grosse produzioni hollywoodiane in cui ritagliarsi una modalità di ripresa tutta propria senza dare nell’occhio ai produttori mentre si agisce sul set è impresa ardua e spesso a rischio di licenziamento da parte della casa finanziatrice.
Fatto è che si può arricchire il tessuto vivo di un film anche con tematiche proprie, che rispecchiano il mondo interiore di una personalità forte come quella di un regista cinematografico: Nolan ha tra le sue caratteristiche quella di saper conferire un’atmosfera malinconica ai suoi film spesso anche cupi, a volte glaciali.
Questo The Prestige probabilmente è a tutti gli effetti il miglior risultato d’autore che Nolan abbia fino ad ora realizzato, sia perché conferma le doti inventive mostrate in Memento (ancora troppo compiaciuto del meccanismo-giocattolo imbastito con questo film) sia perché mostra di saper confezionare un thriller, ovvero il più intrigante e complesso prodotto di genere che si possa edificare, senza rinunciare ad innervarlo di sottili sfumature drammatiche che aprono il film a simbologie e questioni morali non indifferenti alla sensibilità dell’uomo dei nostri tempi. Senza dimenticare archetipi di sempre come l’eterno conflitto amore-odio tra individui speculari, nonché il tema sempiterno del doppio.
A tutto ciò si deve aggiungere la cerebrale macchina narrativa che tanto sembra permeare l’autorialità del Nolan sceneggiatore fondata sul cortocircuito tra prima e dopo, spesso l’uno dentro l’altro. Esattamente come Memento anche qui abbiamo una scatola cinese di avanti e indietro, che non vuol dire solo mischiare le tessere in fase di montaggio, bensì favorire il fortunato meccanismo della suspense tramite l’interrogativo “cosa è prima e di cosa è dopo?”. L’invito in questo caso, senza scendere troppo in dettagli rivelatori della intricata trama, è di porre la massima attenzione sulla lettura dei reciproci diari personali che entrambi gli illusionisti rivali intraprendono: l’uno entra in possesso del taccuino dell’altro. Se vorreste avere delle risposte a dubbi che dopo la visione del film potranno sorgere come funghi nella testa nonostante vi sentiate soddisfatti di quanto avete visto, sappiate che le troverete soltanto ad una seconda visione riflettendo sugli scopi che hanno spinto i due protagonisti a redigere i rispettivi diari.
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