LINEE GUIDA PER LA RICERCA GENETICA
UN EQUILIBRIO TRA UOMO E SCIENZA?

Presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, è stata appena emessa la versione definitiva del documento dedicato alle modalità di trattamento delle informazioni genetiche. Uno strumento a disposizione di ricercatori e Comitati Etici.
di Claudia Bruno
Finalmente è arrivato, un documento di circa cento pagine dedicato alla regolamentazione del trattamento delle informazioni genetiche relative ai protocolli clinici di ricerca. Così, da appena qualche giorno, tutti i ricercatori scientifici coinvolti in indagini e studi genetici sull’uomo dispongono di apposite ‘Linee guida’ riguardanti le maggiori implicazioni etiche, sociali e legali.

Il documento - presentato come strumento pratico a disposizione dei ricercatori impegnati nella realizzazione di progetti di ricerca genetica applicata al miglioramento della salute umana, e dei Comitati Etici coinvolti nella valutazione di tali progetti - si propone di colmare un vuoto ormai troppo rumoroso in Italia, dove il 15-20% dei protocolli esaminati dai Comitati Etici è costituito proprio da programmi di genetica e farmacogenetica.

Si tratta di un insieme di conoscenze e indicazioni pratiche necessarie, soprattutto ora che la genetica ha decisamente preso piede nella pratica clinica, a creare un equilibrio tra la libertà di ricerca e i diritti del soggetto interessato. Un testo elaborato nell’arco di due anni da un gruppo eterogeneo quanto volenteroso di raggiungere un accordo concreto. Genetisti umani, bioeticisti, medici, farmacologi, rappresentanti dei cittadini, comitati etici per la ricerca clinica, Garante della Privacy, Istituto Superiore di Sanità, aziende farmaceutiche, coordinati dalla Società Italiana di Genetica Umana con la collaborazione della Fondazione Smith Kline, hanno tutti contribuito alla realizzazione del documento conferendogli un’inevitabile quanto necessaria multidisciplinarità.

Le ‘Linee guida’ si applicano a tutti quegli studi condotti su soggetti umani nei quali viene prelevato un campione biologico per una successiva analisi genetica o genomica, e in maniera indipendente dal tipo di ricerca o di studio condotto. Stiamo parlando di test genetici a scopo di ricerca – e non a fini diagnostici – vale a dire quelli per cui il soggetto consente ai ricercatori di prelevare un campione di sangue in modo tale da individuare un profilo genetico e valutare, per esempio, come quel soggetto reagirebbe a un determinato farmaco e quanto sarebbe vulnerabile ad eventuali effetti collaterali.

Sembra un procedimento assai lineare, ma se si riflette qualche minuto ci si accorge di quante implicazioni legate ai rischi morali, più ancora che fisici, possano esserci. Cosa significa dare la possibilità ai soggetti di un consenso informato? E quanta riservatezza spetterà ai dati riguardanti il campione prelevato? Quanto a lungo il campione deve essere conservato in una biobanca? E come comportarsi nei confronti delle famiglie, data la possibile ereditarietà di alcune informazioni genetiche? E se i soggetti fossero minori o incapaci?

Insomma, le problematiche non sono né poche né da poco, e il raggiungimento completo di una condivisone di linguaggi e criteri per una corretta conduzione delle ricerche genetiche nell’uomo è ancora un obiettivo lontano. Resta il fatto che un gruppo misto di esperti ha provato a superare le proprie posizioni individuali, a beneficio di una valorizzazione concreta della persona umana. E assistere a questo è sempre un piacere.


(30/10/2006)