Il pensiero a lui, ed al suo film più rappresentativo La battaglia di Algeri, è ricorso dopo pochi minuti di Mon Colonel, proiettato oggi nella Sala Petrassi.
Il film, diretto da Laurent Herbier, è stato sceneggiato da Costantin Costa-Gavras. Ed il primo pensiero del grande autore francese, presente nella conferenza stampa con il regista ed il cast del film, è stato quello di ricordare il suo amico Pontecorvo e mandare le più sentite condoglianze alla famiglia.
Il film riflette su un fatto storico-politico come la colonizzazione francese in Algeria e la guerriglia esplosa tra gli occupanti ed i partigiani locali dell’indipendenza. La mano di Costa-Gavras si vede subito ed il film è un ottimo risultato narrativo di quel cinema di denuncia sociale cui l’autore francese ci ha abituato con capolavori come Z-l’orgia del potere, L’amerikano o Missing.
La misteriosa uccisione del colonnello Duplan fa scattare un’indagine dell’esercito sui fatti. Un faldone contenente le lettere del tenente Guy Rossi, che racconta il suo arruolamento nell’esercito francese ed il rapporto col colonnello in terra algerina, ci proietterà nel passato di quella cruda vicenda, attraverso dei lunghi flashback in bianco e nero che si alternano alle sequenze a colori del presente. Così come dagli occhi del sottotenente Galois passiamo a quelli del tenente Rossi, in uno straordinario salto spazio-temporale che allude ai fatti accaduti tramite l’immaginazione della donna incaricata di fare rapporto.
Alla conferenza partecipa anche la produttrice Michel Ray-Gavras che spiega perché il film ha avuto bisogno di sette anni per essere ultimato: ”All’inizio è stato difficile trovare i finanziamenti per un film come questo. Sette anni fa era in corso la guerra civile in Algeria ed io non volevo che questo film fosse girato in Tunisia o in Marocco, cosa che si fa spesso quando si deve filmare gli esterni di quella terra. Per me l’architettura dell’Algeria è molto particolare e ricorda più il sud della Francia che i paesi circostanti, lì l’architettura acquisisce senso perché si è costruito in maniera diversa e si vede, quando si filma. Al limite avrei preferito una città come Marsiglia piuttosto che la Tunisia o il Marocco”.
Costa-Gavras riflette sul significato del film e sul parallelo con La Battaglia di Algeri: ”Senza dubbio il film di Pontecorvo è un'opera fondamentale per la cinematografia mondiale, un film sulla scia del neorealismo italiano che influenzò tutto il cinema, passando dalla nouvelle vague al cinema novo ed anche per un certo tipo di cinema americano indipendente. Sicuramente è la cosa più bella fatta sulla guerra d’Algeria. Sull'argomento c’è stata sempre una certa freddezza nell’approfondire questo tema in Francia. Anche qui in Italia, seppur la vostra non è stata molto estesa, l’argomento colonizzazione è sempre stato poco trattato. Eppure un milione di persone, nel caso dell’Algeria, sono state costrette a spostarsi, e non è possibile parlare del colonialismo senza tener conto di questo fenomeno. Alcune di queste persone si sono suicidate, altre hanno vissuto un profondo shock. Bisognerebbe approfondire l’argomento anche per rispetto di queste persone. Il cinema, anche se è principalmente spettacolo, può anche rappresentare una metafora di qualcosa, non può certo cambiare il mondo né deve essere un saggio di storia, ma può guidare lo spettatore nell’ufficio dello storico, se poi egli vuole approfondire lo farà da solo. Da diversi anni, in occidente, c’è una condanna comune a qualunque tipo di terrorismo, senza valutare le diverse situazioni. Voglio dire, non si cerca di capire le ragioni politiche del terrorismo. Questa è una riflessione che il film prova a fare. Ci sono tanti esempi di individui che prima erano considerati terroristi e poi sono diventati capi di stato, con i quali trattare.”
L’ultima parola spetta al regista Laurent Herbiet: ” Certamente oggi con quello che è successo in Iraq, il film acquista un significato diverso. L’argomento trattato, ossia il rapporto tra potere militare e potere civile, è l’argomento di Guantanamo. Ed è allucinante che ci sia, in una presunta democrazia, la possibilità di torturare legalmente. Quando abbiamo presentato il film a Toronto, Bush ha avuto il coraggio di presentare le torture della CIA come metodi alternativi. Quindi le questioni del film, che sembrano appartenenti ad un altro contesto e ad un altro tempo, rimangono attualissime e le riflessioni che suscitano tali questioni rimangono aperte”.
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