In una mattina come tante nella Parigi della prima metà del Settecento, da una giovane popolana che lavora al mercato del pesce, nasce Jean-Baptiste Grenouille, presto orfano, dotato di un olfatto sopraffino, capace non solo di discernere e sezionare gli odori, ma anche di percepirli a distanza. Talmente bravo che presto riuscirà a lavorare nel mondo dei creatori di eccellenti fragranze. Tuttavia il suo scopo è un altro: arrivare a conservare l’odore di qualsiasi cosa lo incuriosisca, persino degli esseri umani.
Alla base di questo epico e al contempo ampolloso film c’è un capolavoro della letteratura contemporanea: Das Parfum del tedesco Patrick Suskind. Bandendo ogni superfluo e fuori luogo confronto, diciamo subito che il film tratta, soprattutto nella prima e ampia parte, quella concernente la scoperta del talento di Grenouille, questioni come il mondo dei profumi alquanto aleatorie e di certo poco cinematografiche, dal momento che un film può far vedere e sentire e perfino richiamare alla mente impressioni tattili e desideri famelici, ma proprio gli odori sono sterilmente colti e rappresentati.
Tutto appare più freddo quando si tratta di emozionare richiamandosi agli odori col mezzo cinema: tant’è che a riguardo il regista si sforza di suscitare in tutti i modi possibili determinate reazioni nel pubblico, per quanto riguarda le fragranze buone o cattive che Grenouille percepisce. Innanzitutto ricorre ad inquadrature di dettagli così ravvicinati da essere innaturali per l’occhio umano; poi ci prova mostrandoci da vicino le narici di Grenouille, oppure ad ogni odore che si diffonde corrisponde un effetto sonoro diverso riconducibile ad una folata di vento; c’è persino un viaggio nel profondo delle narici umane. Tuttavia niente. Il risultato in merito continua ad essere alquanto scarso e prevedibile.
Una possibilità il regista sembra intuirla: se non si possono raccontare gli odori, si può creare un accostamento, una intellettuale prova di associazioni di idee: il cattivo odore, il puzzo fetido, diciamolo pure, corrisponde ad un montaggio serrato di dettagli di immagini dai contenuti disgustosi e scoloriti, come pesce in putrefazione e liquami vari, in combinazione con effetti sonori viscosi; mentre i profumi delicati e incantevoli corrispondono ad immagini di bellezza e a paradisi floreali, iridescenze e sinuosità femminili, il tutto mostrato tramite inquadrature lente, sospese, rette in sottofondo da una musica angelica.
Comunque questa intuizione non dura molto e il regista preferisce all’associazione di idee soluzioni più facili, come appunto inquadrare nasi e ricorrere ad effetti speciali a volte di cattivo gusto, scadendo nel ridicolo e ahinoi nell’ingenuo.
Detto questo il film funziona lo stesso, grazie alla trama. La storia è avvincente e per nulla scontata; il ritmo sostenuto permette di accogliere in seno alle sue due ore e mezza di film molti luoghi e molti personaggi, proprio come se ci trovassimo in un romanzo di formazione di Charles Dickens. Si viaggia e si esplorano circostanze e costumi di un'epoca colta come sempre il cinema l’ha rappresentata, senza alcuna inventiva in merito, e tuttavia l’originale ossessione che da un lato ottunde la capacità di Grenouille di inserirsi nella società degli uomini e dall’altro incredibilmente lo eleva al di sopra di tutti gli altri, grazie al suo genio, coinvolge e incuriosisce.
Il regista Tom Tykwer (autore del celebre film di culto degli anni Novanta, Lola corre), anche coautore qui delle splendide musiche, sceglie di dare al personaggio un taglio fumettistico: è come se Grenouille fosse un supereroe che grazie al suo superbo olfatto è in grado di schivare i pericoli, di scoprire e seguire tracce, e di fabbricare dei profumi che hanno il potere di asservire gli esseri umani, come fossero armi di persuasione.
Sopra ogni cosa resta l’idea affascinante e oltremodo soprannaturale che se riuscissimo a conservare l’odore di ciascuno di noi, quella goccia di fragranza racchiuderebbe, in vero, la nostra anima.
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