VIVERE INSIEME. ESSERE AMICI.
NE SIAMO ANCORA CAPACI?

Siamo ancora capaci di vivere insieme? E se non ne siamo più capaci, come sarà possibile realizzare una giustizia sociale? Riflessioni morali tra link, blog, nick e qualche pillola di aristotelica saggezza.
di Claudia Bruno
Ce ne stiamo chiusi nei nostri grigi uffici, davanti a pc super accessoriati, facciamo cose attraverso pulsanti, guardiamo persone di cristalli liquidi su schermi che non sono finestre, ascoltiamo rumore in silenzio, nel traffico d’acciaio che ci si profila davanti. Ricordiamo momenti affidandoci a memorie periferiche, capaci di conservare più dati di quanto saremmo capaci noi.
Il nostro migliore amico è il telefono cellulare - non certo chi risponde dall’altra parte – perché ci mette in contatto “col mondo”: è quello che siamo in potenza. Adulati a suon di sms, ci sentiamo parte di una comunità invisibile, dove ognuno è un po’ il centro gravitazionale: TUTTO INTORNO A TE, recita un celebre spot di telefonia mobile.

Tutto intorno a te, alla tua persona, ai tuoi comodi. Hai msn? - la fatidica domanda si fa strada tra attimi fuggenti in cui gente cerca di abbordare altra gente per aggiungerla alla propria lista in chat - Come non ce l’hai? Magari ci facevamo una chiacchierata, sai nei ritagli di tempo! Non importa come ti chiami, meglio il tuo nick, così non ci si può sbagliare. A proposito, se vuoi saperne di più su di me, ti do il link del mio blog: lì trovi tutto.

Siamo soli nel bel mezzo di una confusione semiotica, ma non lo sappiamo.

Aristotele non l’avrebbe immaginato. Dico Aristotele per intendere uno dei suoi tempi, mica proprio lui. Lui diceva che l’uomo, qualsiasi uomo, ha bisogno d’amici. Nella buona e nella cattiva sorte. Perché l’uomo è animale politico, anche il più saggio e felice tra gli uomini – anzi, soprattutto lui - da solo non avrebbe ragione d’esistere. La vita sociale comincia dove c’è un rapporto d’amicizia tra almeno due persone, ma essere amici significa vivere insieme.

Vivere insieme, per Aristotele, equivale a fare le cose che più ci piacciono nello stesso momento e nello stesso luogo. Amicizia è vita in comune, condivisione. Chi avrebbe mai pensato che queste parole avrebbero assunto sostanza del tutto diversa attraverso qualche millennio? Oggi siamo tutti risucchiati dal vortice della grande community, condividiamo dati grazie all’open source e al peer2peer. Questo potrebbe ancora essere considerato un modo di vivere insieme? Stiamo facendo cose insieme, condividendo emozioni, seduti ognuno davanti al proprio display a dawnloadare file?

Se così fosse, il numero di amici che ognuno di noi potrebbe avere sarebbe illimitato. Aristotele proponeva invece una giusta quantità determinata di amici, descrivendola come il maggior numero possibile di persone con cui si riesca a vivere insieme. Vivere insieme, però, significa amare la persona che ci sta davanti per quello che è, non per quello che ci dà, sia esso utile o piacevole. Amando l’altro per la sua bontà immanente, quella virtù che non cede al cambiamento, quella coerenza che rende possibile la durata di una relazione.

Ogni rapporto infatti, dice ancora Aristotele nell’Etica Nicomachea, è determinato nella sua natura dall’oggetto percepito come amabile, e ciò che è amabile è buono, o piacevole, o utile.
Le relazioni basate sull’utile o sul piacere, sono “amicizie per accidente”: la persona che ci dà quello che vogliamo potrebbe essere anche un’altra; quando finirà di darci quello che chiediamo, la manderemo via.

Le relazioni basate sul buono sono invece quelle degne di essere chiamate “amicizie in senso proprio”: ciò che chiediamo è la persona che ci sta davanti, nessun’altro, il suo bene, nient’altro. Queste relazioni sono le più rare, perché è difficile trovare il bene in tante persone e perché prima di accorgersene c’è bisogno di trascorrere insieme tanto tempo, c’è bisogno di costanza.

È solo grazie a questo tipo di amicizia che può esistere giustizia, che il sogno di “una vita felice in una società giusta” può trovare piena realizzazione.

La giustizia sociale pubblica, quindi, nasce dal saper vivere insieme in privato. Ora - accerchiati dal ritmo tribale di contatti accidentali da cui ci piace farci corteggiare, ognuno utile finché ha qualcosa da venderci - prima di lottare per un mondo migliore, prima di manifestare in piazze virtuali tendenze di protesta contro tutto e tutti, chiediamoci se siamo ancora capaci di farlo. Se siamo capaci adesso di vivere insieme a qualcuno, di parlare di noi senza ricorrere a un blog, di fare quello che ci piace uno accanto all’altro. Se siamo capaci di amare l’altro per quello che è.

Anche uno solo basterebbe amare così, per iniziare a capire che avere bisogno non è una sfrenata compravendita di effimeri piaceri e momentanee utilità.

L'immagine qui riproposta è "La Solitudine" di Fabrizio Buttafava


(03/08/2006)