FOCHE: L’ITALIA QUESTA VOLTA DICE NO ALLA MATTANZA
Sono bianche, morbide e carine. Sono le foche. Anzi, no, sono le future pellicce. Perché chiamarle foche? Non è vero. La loro realtà non è quella di essere animali senzienti che vivono in climi freddi, tra i ghiacci, con il loro dolcissimo manto morbido. Loro sono le prede. Loro sono una "questione economica".
di Azzurra De Paola
Finalmente, il no dell’Italia. No alla strage. No alle pellicce dei cuccioli di foca. No. Basta orrori. Con un atto politico del 13 febbraio 2006 rivolto ai Ministeri, alle dogane ed alla Guardia di finanza, l’allora vice ministro alle Attività Produttive, Adolfo Urso, ha vietato l’importazione ed il commercio dei cuccioli di foca applicando la direttiva europea 83/129 che vieta le suddette attività.

Inoltre, con un decreto interministeriale che rivolse agli ex ministri Scaiola e Tremonti, ha previsto un regime restrittivo delle licenze anche per l’importazione ed il commercio di esemplari adulti. In ultimo, ma non per importanza, ha proposto una legge, sottoscritta da venti parlamentari, come integrazione alla legge 189 del 2004 contro il maltrattamento di animali in cui si richiede che il divieto di commerciare pelli, pellicce ed accessori di cani e gatti venga esteso anche alle foche.

Una buona notizia, quindi. Ma una goccia nel mare dell'orrore che travolge ogni anno questa specie. Un orrore che finisce con il rappresentare l'ennesima prova dell’efferatezza umana. Non di tutti gli uomini, si intende. Ma di coloro che svolgono in prima persona queste uccisioni. E di coloro che tacciono davanti a questi massacri.

Cuccioli scuoiati vivi a dodici giorni dalla nascita. Perché?

Non si cerca qualcuno a cui dare la colpa. Ma nascondersi dietro un ‘faccio solo il mio lavoro’, oppure dietro un ‘non lo sapevo’ è un po’ come nascondersi dietro un dito.

Peggio ancora, è cambiare canale oppure voltare pagina. Il problema morale ed etico che c’è dietro il maltrattamento di animali è nella struttura stessa del pensiero: bisogna concepire ed accettare la diversità. Dapprima, era difficile accettare che una persona di colore fosse un essere umano. Erano schiavi, nelle piantagioni di cotone. Erano bestie da soma. Erano manodopera.

Poi, piano, ci si accorge che sotto il colore della pelle sono come i bianchi. Come i padroni occidentali. Allora, fine della schiavitù. E la schiavitù moderna, quella dopo il razzismo, è la prigionia degli animali. Il loro sfruttamento, come fossero oggetti. Il rispetto non può essere indirizzato solo a taluni contesti. Non c’è rispetto settoriale, questa è solo un’etichetta. E’ di moda avere rispetto per le persone povere del Terzo Mondo, è di moda avere rispetto per i poveri, è di moda stare dalla parte dei deboli. Ma perché non sia solo una posa sociale, affinché non sia un altro modo occidentale di mostrare pietà mascherata da rispetto, bisogna che ci sia giustizia per ogni debole. Per ogni sottomesso. A qualsiasi mondo appartenga, di qualsiasi specie sia.

Soprattutto, siate capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo (Lettera di Ernesto Che Guevara ai propri figli).


(09/06/2006)